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Continua il sali e scendi dei due partiti che si contengono da mesi il primo posto: Partito democratico e Fratelli d’Italia E’ il sondaggio di Euromedia Research a dare questa valutazione e reso noto da un comunicato di Porta a Porta. Il Pd, dunque, si conferma primo partito italiano con il 21.7% (+0.1 dall’ultimo dato del 22 marzo scorso), seguito da Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni con il 21.5% (+ 0.1%). La Lega di Salvini, invece, si attesta al 15.9% (-0.4%), collocandosi alla terza posizione.

Quarto il M5S con il 12.3% (-0.2%), poi Forza Italia all’ 8.5% (+0.4%), seguita da +Europa-Azione che scende al 4.7% (-0.1%). Per l’Italia con Paragone-Italexit sale al 3,5% (+1,2%), mentre Italia Viva si attesterebbe al 2.3% (-0.2%). Sale al 2,1% la Federazione dei Verdi (+0,1%), a seguire Mdp-Art 1 va all’1.9% (+0.1%). Sinistra Italiana cala all’1.5% (-0.1%).

Infine altri di centrodestra risultano all’1.1% (-0,1%). Il sondaggio ha anche dato un valore complessivo agli schieramenti: il Centrodestra (FdI-Lega-FI-altri di centrodestra) raggiungerebbe il 47%, mentre il Centrosinistra (Pd-M5s-Mdp-Art1-Si) il 37.4%. Gli altri di Centrosinistra (+Europa-Azione-Italia viva-Verdi) hanno complessivamente il 9,1%. Restano altri non coalizzati che raggiungono il 3% e Per l’Italia con Paragone-Italexit al 3,5%.

(fonte agenzia ansa)

Un altro sondaggio, commissionato per il Corsera e realizzato dall’Istituto Ipsos di Nando Pagnoncelli, dà un quadro che rafforza il consenso della Lega. Si parla di un 31 percento netto del partito di Matteo Salvini, che riesce a rosicchiare voti anche tra gli elettori dei cinquestelle, fermi al 29,8 per cento.

“E se confrontiamo le intenzioni di voto con i risultati elettorali del 4 marzo – dice Pagnoncelliemergono cambiamenti importanti, oltre alla già citata imponente crescita della Lega: innanzitutto l’aumento dell’area dell’indecisione e dell’astensione, composta da elettori delusi, che aumenta del 5,5%; in secondo luogo la flessione di 2,9% del M5S, trionfatore alle elezioni, e quella ancor più significativa di Forza Italia, che perde 5,7%, di Fratelli d’Italia che si è quasi dimezzata, passando dal 4,3% al 2,3%, di Liberi e uguali che perde un terzo dell’elettorato (da 3,4% a 2,3%) e di Noi con l’Italia scesa dall’1,3% allo 0,4%. Al contrario Pd e Più Europa aumentano di 0,2%, mantenendosi sostanzialmente sui valori ottenuti alle politiche”.

E quello che è stato rilevato dall’indagine demoscopica è che da marzo (quando si sono svolte e elezioni nazionali), un elettore del M5S su quattro ha cambiato idea.

Inoltre, l’analisi mette in risalto la fedeltà dell’elettorato leghista. Addirittura il 91 per cento conferma il proprio voto e la forte capacità di attrazione di nuovi elettori. E il dato che salta agli occhi è che quasi la metà di coloro che oggi voterebbero per il partito di Salvini provengono da altri partiti, in particolare per il 23% dagli alleati di centrodestra (18% da FI e 5% dagli altri), il 10% dagli alleati di governo e il 9% da elettori che alle politiche avevano disertato le urne ma oggi ritornerebbero a votare scegliendo la Lega.

Per quanto riguarda i pentastellati, tre elettori su quattro confermerebbero il proprio voto al Movimento, i delusi propendono per l’astensione (13%) e la Lega (9%), ma non per il Pd (1%) e i voti in ingresso provengono prevalentemente dal centrodestra, mentre sembra essersi arrestata la capacità di attrarre consenso da sinistra e dall’astensione.

Per quanto riguarda la tenuta del Pd, questa dipenderebbe dalla elevata fedeltà di voto: si parla dell’80 per cento e da una compensazione tra uscite (prevalentemente verso l’astensione: 13%) e nuovi ingressi, soprattutto da centrosinistra e sinistra, mentre il rientro dal M5S è marginale. Infine, meno di un elettore su due di FI (48%) continua a votare per il partito di Berlusconi, un terzo abbondante sceglie la Lega e il 10% si astiene.

Infine, nel sondaggio l’elemento costante è che la La Lega consolida il proprio consenso in tutti quelle aree sociali che l’hanno scelta alle scorse elezioni nazionali, aumentando in modo congruo tra i ceti più popolari, le persone meno istruite, casalinghe, pensionati e disoccupati e tra i cattolici che partecipano saltuariamente alle funzioni religiose.

Il M5S perde il proprio appeal prevalentemente tra gli elettori meno giovani (presso i quali era già più debole), nella classe direttiva, tra i lavoratori autonomi, gli studenti, i pensionati e tra i cattolici con frequenza settimanale alla messa.

“Insomma sostiene il sondaggio di Ipsosè il momento della Lega e la sua forza dipende soprattutto dalla sostanziale continuità nella strategia comunicativa di Salvini rispetto alla campagna elettorale, una strategia basata su un’accurata scelta di temi sensibili (i migranti, le responsabilità dell’Europa, la legittima difesa, la rottamazione delle cartelle esattoriali, l’uso del contante, ecc.), su toni aggressivi (peraltro due italiani su tre ritengono che sia giusto che i politici utilizzino un linguaggio crudo e brutale per dire le cose senza tanti giri di parole) nei confronti di avversari politici, esponenti delle istituzioni nazionali ed europee (il presidente Macron su tutti), personaggi pubblici (da Balotelli a Saviano), sull’incessante appello a ‘ciò che vogliono gli italiani’. Il leader leghista, pur occupando un’importante carica istituzionale, si è dunque sottratto al processo di istituzionalizzazione, non a caso continua a esibire accuratamente sulla giacca il simbolo di partito e sarà protagonista del tradizionale raduno di Pontida di domani con al centro lo slogan ‘il buonsenso al governo’.

A questo punto non resterà che aspettare, oltre a Pontida, l’appuntamento delle europee del prossimo anno. E se quel 31 per cento dovesse tramutarsi in 40, allora per i cinquestelle sarebbe difficilissimo risalire la china, con il “rischio” che Salvini porti all’incasso il risultato staccando la spina al governo, andando a nuove elezioni e sedendosi come premier, a Montecitorio, senza alcuno sforzo.

 

“A quando la richiesta di schedatura dei portatori di handicap? A quando quella degli omosessuali? A quando quella degli ebrei e dei musulmani? A quando quella degli iscritti ai sindacati o a partiti diversi dalla Lega e dai Cinquestelle?”. E’ l’ultima provocazione del sindaco di Palermo Leoluca Orlando, che attacca nuovamente il ministro dell’Interno, Matteo Salvini, che avrebbe deciso di avviare un censimento su i Rom, anche se la notizia sarebbe stata poi smentita.

“A Palermo – continua il primo cittadino – non sarà fatto alcun censimento né alcuna schedatura della popolazione Rom che risiede nel capoluogo siciliano, né quella di qualsiasi altro gruppo di cittadini”. E afferma: “che non vi è alcun presupposto giuridico perché si possa procedere in tal senso, ma anzi, a partire dalla Costituzione fino a qualsiasi normativa nazionale ed internazionale, sono vietati atti che in qualsiasi modo possano portare a discriminazioni su base etnica, religiosa, linguistica e culturale.”

“Al di là dell’assenza di presupposti giuridici dice, infine, Orlando credo però che vada sottolineato l’aspetto prettamente culturale e politico di quanto avviene in queste ore in Italia, con un ministro dell’Interno che straparla di ‘Asse italo-tedesco’ e si lancia in pronunciamenti che evocano le leggi razziali“.

La politica dei porti chiusi convince il 59 per cento degli italiani, che si dice favorevole al provvedimento. E’ questo il dato che emerge dal sondaggio realizzato dall’Istituto Ipsos di Nando Pagnoncelli e pubblicato, oggi, sull’edizione online del Corsera.

“La polemica sui migranti desta grande interesse presso gli italiani, a conferma del fatto che sia un tema nevralgico” – scrive Pagnoncelli. “Il 63 per cento, infatti, dichiara di seguire la vicenda, mentre il 30 per cento ne ha almeno sentito parlare, anche in questo caso con un’attenzione trasversale ai diversi elettorati”.

Ma il dato che salta agli occhi è che il provvedimento del ministro Salvini, come abbiamo detto inizialmente, è condiviso da una netta maggioranza: il 59 per cento ne apprezza la scelta e il 24 per cento, invece, ritiene che non si possa rifiutare lo sbarco dei migranti. Il 17% non si esprime. Le opinioni sono certo piuttosto delineate, chiarisce il sondaggio, con un centrodestra sostanzialmente granitico, ma anche nei pentastellati c’è un giudizio favorevole, con scarsissime sbavature, il che evidenzia che le perplessità per ora sono contenute.

Solo gli elettori del Partito democratico e delle altre liste (dove sono prevalenti gli elettori di sinistra) si schierano per la posizione di accoglienza. Ma anche in questo caso con un’importante presenza di posizioni vicine a Salvini, che si attestato intorno ad un 30% in entrambi i casi.

Ancora più netta l’adesione rispetto al confronto con l’Europa. La scelta di Salvini di fare la voce grossa  è condivisa da oltre due terzi degli intervistati. Il consenso si avvicina al 90% tra gli elettori delle due forze di governo e fra quelli di Forza Italia, ma divide equamente gli elettori delle altre liste.

Solo gli elettori del Pd si schierano contro questa scelta poiché il rischio è l’isolamento e l’indebolimento dell’Italia. Ma anche qui più di un quarto condivide la scelta del ministro dell’Interno. È evidente, da questi dati, che ha funzionato quello che qualche commentatore ha definito un sussulto di orgoglio nazionale di fronte a parole obiettivamente insultanti usate dai francesi.

In sostanza, la prima uscita “forte” del nuovo governo, su un tema così sensibile, si rivela un successo interno importante. La Lega capitalizzerà sicuramente con una crescita dei consensi nei prossimi giorni. La partita è però non priva di rischi, di cui almeno due sono evidenti. L’apertura del dibattito in Europa probabilmente non creerà un fronte solido: gli interessi del gruppo di Visegrad non prevedono un accoglimento dei migranti sulla base delle quote. Quando i problemi verranno al pettine è probabile che l’Italia fatichi a riscuotere lo stesso successo attuale.

L’altro rischio è sul fronte interno: la “marginalizzazione” dei cinquestelle che deve essere recuperata, pur in un rapporto ormai paritario tra due forze di cui una ha avuto i maggiori consensi. In caso contrario non è improbabile che si manifesti una difficoltà di tenuta della compagine governativa. E quindi la trappola di Salvini che ha già “apparecchiato la tavola” (ne avevamo parlato proprio sulle nostre pagine), con annesso posto a sedere da premier, cioè il suo, è dietro l’angolo. Adesso non resta che aspettare gli eventi.

 

“Lega xenofoba e il Movimento a cinque stelle fuori dall’ordinario, riuniscono bigottismo e incompetenza a un livello insolito. Sono un gruppo miserabile portato in alto sulla marea globale anti-liberale”. Un attacco durissimo sulle pagine del giornale americano New York Times, che porta la firma di Di Roger Cohen. Nel lungo pezzo pubblicato sull’edizione online, si va oltre all’analisi politica, arrivando all’insulto contro di noi e indirettamente contro i milioni di elettori che, forse anche per protesta, hanno fatto una scelta di rottura rispetto al passato. E questa va sicuramente rispettata.

E continua parlando della sua passione per “l’Unione Europea, il più pazzo propagatore di pace mai creato. Detesto la facile designazione dell’emigrante o di un estraneo come la fonte di guai nazionali, una forma di capro espiatorio con una storia terribile in Europa e ora in vivida esibizione nell’America di Donald Trump. Sono tutto per la serietà di intenti nel governo, e questo non può includere promettenti dispense per le quali non ci sono fondi. In breve, non vedo nulla nella Lega o nel Movimento a cinque stelle propagato su Internet che non mi facciano ribrezzo”.

Si può pensare bene o male di questo governo giallo-verde che ha preso il via qualche giorno fa, ma di certo gli elettori vanno rispettati e soprattutto va rispettato un Paese democratico qual è fino a contraria l’Italia. Ma Roger Cohen continua arrivando addirittura a definire il nostro governo come “terribile, schifoso” (potete leggere qui l’articolo del New York Times).

E infine, chiosa dicendo: “Non vedo niente nella Lega o nel M5S diffuso via Internet che non mi disgusti”.  Considerazioni che si aggiungono alle già pesanti critiche arrivate, nei giorni scorsi, dalla Germania. Ma nel pur legittimo diritto di cronaca che esercitiamo, facendo il nostro mestiere di giornalista, l’offesa gratuita non serve a nulla. Anzi crea ancora di più quel vuoto che, certamente, ad una politica ormai senza primato, non è utile. Il resto è solo “vilipendio” della nostra cara Italia, dei nostri cittadini e degli elettori.

 

 

 

 

Continua l’attacco concentrico nei confronti di Giuseppe Conte, il premier incaricato, voluto da Lega e Cinquestelle, che si trova in mezzo ad un guado, colpito ripetutamente come in un tiro a bersaglio. Adesso è la prestigiosa testata americana, New York Times, che lo attacca pesantemente.

 “Sconosciuto professore di legge, la cui principale qualifica è la sua disponibilità ad eseguire gli ordini dei leader di Lega e M5S”, si legge nell’articolo del quotidiano statunitense, come riportato oggi da “Il Giornale”, edito dalla famiglia Berlusconi.

E non è altrettanto “tenero” sulla maggioranza formata dai due partiti vincitori delle elezioni, quello di Salvini e di Di Maio: “Non è chiaro quanti danni potrà fare la coalizione ma è un duro colpo ai progetti di rafforzamento dell’integrazione europea portati avanti da Merkel e Macron”.

E continua scrivendo che se “se l’Italia, la quarta economia dell’Ue, inizia a sfidare le regole dell’Unione e chiede di rinegoziare i termini della sua adesione, sarà più difficile tenere gli altri membri in riga”.

Poi arriva una sorta di profezia sul futuro del governo Conte: “È troppo presto perché Bannon e i suoi alleati possano celebrare o i campioni dell’Unione si facciano prendere dal panico. Il fascino dei populisti potrebbe presto svanire se non troveranno soluzioni concrete al risentimento che li ha portati al potere”.  Infine il Nyt lancia un appello a Macron e Merkel perché tengano unita l‘Unione Europea e ben saldi i suoi valori. Insomma dopo i tedeschi, arrivano “lezioni” anche dagli Usa.

Ma nelle ultime ore sembra proprio che sia anche in bilico lo stesso Conte. Una manovra di Salvini per andare alle elezioni, vincere e fare il il premier con la coalizione di centrodestra. Un’opzione che piacerebbe a Berlusconi, che potrebbe ricandidarsi sebbene in una condizione politica ridimensionata, ma lontano dal “pericolo grillino” al governo, soprattutto per le sue aziende. E al “povero” professore di legge che aveva “odorato” il profumo del potere non resterebbe che ritornare a fare l’avvocato. Lui usato come agnello sacrificale e con  gli unici perdenti, se lo scenario sarà questo, che saranno inevitabilmente i cinquestelle.

I fedelissimi parlano di un Berlusconi in profonda collera, intenzionato a “scatenare l’inferno”, come nel film “Il Gladiatore”, dove il generale romano, Massimo Decimo Meridio, interpretato dall’attore Russel Crowe, ordina l’attacco ai suoi soldati contro il nemico, con la frase epica: “Al mio segnale scatenate l’inferno”. 

La guerra tutta interna al centrodestra per la leadership della coalizione non è mai finita. E il lasciapassare dato a Matteo Salvini, all’indomani del risultato elettorale del 4 marzo, come da accordi pre-elezioni, per la guida della coalizione, era soltanto un atto dovuto.

Silvio immaginava, anche se ad oggi, al difficile puzzle del governo manca solo il nome che, l’operazione “contrattuale” tra Salvini-Di Maio, alla fine sarebbe naufragata. Lo ha detto sempre ai suoi nelle ultime settimane: “Vedrete che poi non se ne farà nulla e Salvini sarà costretto a venire a miti consigli per evitare il logoramento politico”. E la frase pronunciata proprio ieri: “sono pronto a fare il premier, credo che non c’è nessun candidato paragonabile a me”,  va letta sicuramente in due modi: il primo prettamente politico. Far capire e, soprattutto, dare un segnale all’esterno, in particolare agli elettori di centrodestra, che lui è ancora in partita, rispetto a quanti lo danno per spacciato e senza possibilità di “governare” questa fase di immobilismo e di incertezza. Il secondo, invece, un vero atto di ostilità, ma non dichiarato esplicitamente, con quell’ordine da “gladiatore” romanonei confronti del segretario della Lega. E continuando con questa strategia Berlusconi, durante un comizio, marca stretto il suo “alleato”: “Non ha mai parlato a nome della coalizione ha sempre soltanto parlato a nome proprio e della Lega. La coalizione con un programma comune è altra cosa e non ha nulla a che vedere con i Cinquestelle”.

A queste parole si sono, anche, aggiunti gli attacchi dei deputati vicini a Berlusconi mandati in avanscoperta: “Matteo Salvini si è posto fuori dal centrodestra”. Una “gragnola” di colpi verbali pesanti come chicchi di grandine che lo stesso leader leghista ha incassato, come un pugile all’ultimo round.

Ma al di là di tutti questi tatticismi lessicali, la vera preoccupazione dell’ex Cavaliere è che Salvini sia intenzionato a “saldare” definitivamente, con la fiamma ossidrica, questo patto contrattuale con Di Maio. E se pensiamo che tra i tanti punti del contratto di governo, c’è anche quello sul conflitto d’interessi, (tanto per capirci quello che riguarderebbe le sue aziende) e la riforma sulla giustizia, le notti di Berlusconi diventeranno sempre più insonni.  E magari serviranno a Mr. B. per preparare la battaglia finale e aspettare il momento propizio per risalire a “cavallo”, brandendo la spada del suo potere mediatico e gridando ai suoi: “Al mio segnale scatenate l’inferno”. 

 

“Quello che doveva  essere l’IRSAP e cioè favorire lo sviluppo delle aree industriali sul territorio regionale, si è dimostrato inefficace nella messa in atto di politiche concrete a sostegno delle aziende, diventando, invece, il solito poltronificio e dando soltanto stipendi di tutto riguardo ad una classe dirigenziale inerte e disattenta alle necessità degli imprenditori”. A parlare è Giancarlo Cancelleri, leader dei pentastellati in Sicilia e già candidato alla poltrona di governatore, che dal suo blog lancia la proposta della messa in liquidazione dell’IRSAP.

“La nostra proposta è quella di procedere alla liquidazione dell’IRSAP e al trasferimento delle competenze dell’Istituto all’assessorato alle Attività produttive – scrive ancora Cancelleri – al fine di ridurre i costi di gestione e, soprattutto, realizzare un organo di reale promozione e sviluppo delle attività produttive e l’attrazione di investimenti esterni”.

E continua parlando della “necessità di nominare dei commissari liquidatori degli 11 ex consorzi ASI che possano definire tutte le liquidazioni, le controversie con i dipendenti già posti in quiescenza. E collocare il personale attualmente in servizio presso l’IRSAP in un ruolo ad esaurimento presso la Regione, da adibire alle operazioni di liquidazione, alla gestione delle aree industriali presso i Comuni competenti territorialmente o alla mobilità presso gli uffici centrali e periferici dell’Amministrazione regionale”.

Un vero e proprio smantellamento dell’IRSAP, quindi, che nei mesi scorsi è già stato oggetto di dure polemiche sindacali, con uno stato di agitazione dei dipendenti, legato ai vecchi consorzi ASI, messi in liquidazione. E se prima era Crocetta a dover trovare una soluzione al problema, adesso la palla passa Musumeci e mandarla in rete per lui non sarà certamente facile.

 

Oggi non sappiamo ancora se Luigi di Maio e Matteo Salvini riusciranno a far quadrare il cerchio e a firmare il contratto che porterà alla nascita del prossimo governo. Ma l’esito positivo è più che probabile e avremo il primo governo a sei stelle, le cinque del movimento grillino più quella delle Alpi del simbolo della Lega. E sarà, se sarà, un fatto nuovo per la politica italiana. Certamente, non ratificherà la nascita di una Terza Repubblica, ma segnerà una svolta epocale: al centro di un patto di governo, non ci saranno le affinità ideologiche, le alchimie onomastiche, i richiami a ideali, ascendenze, leadership, ma il riferimento al fare, alle cose. Magari, per gli osservatori stranieri questa non sarà una novità.

Sarà inquietante l’intesa tra forze populiste, euroscettiche, non perfettamente o per nulla allineate rispetto al trend della politica delle capitali che “contano”. Ma a questi analisti di oltre confine, il richiamo alle cose da fare non susciterà particolare interesse. All’estero è normale, è la politica: trovare soluzioni ai problemi del paese, pragmaticamente, senza tante discussioni. Sono le ricette a dividere, non il pedigree. In Italia non è così. C’è ancora chi si affanna a definire il governo nascituro “di destra”, come se significasse ancora qualcosa, in questa epoca di democrazia digitale.

Ideologie, identità, tradizione, partecipazione, partiti, non contano più nulla, non portano più a niente e, soprattutto, non portano più voti. Contano i leader, i programmi, anzi, gli slogan: trovi un argomento forte, particolarmente sentito dalla gente; lo cavalchi, lo fai tuo, ti rendi riconoscibile su quello e vai avanti. Naturalmente, per il bene della collettività, del Paese. Ecco, Di Maio (o chi per lui) e Salvini questo lo hanno capito e, anche grazie alla forza dei numeri, lo stanno facendo fruttare, per far nascere un governo spurio, tra forze che, per loro natura, non hanno granché in comune, se non un certo dna “antisistema” che si declina comunque in modi e direzioni diversissime. Non chiamatelo incucio, no. Chiamatelo governo di contratto o “a sei stelle”.