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Gaetano Càfici

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Era tutto già scritto sin da quando la coppia Calenda-Renzi aveva deciso di convogliare a nozze “combinate”. Perchè di questo si è trattato. Un’operazione esclusivamente renziana, che serviva all’uomo di Rignano per poter sedere nuovamente in parlamento e avere facile manovra alle sue alchimie politico-economiche.

“L’unico problema oggi, per la costruzione del partito unico dei liberal-democratici, è che Renzi non vuole prendere l’impegno a sciogliere Italia Viva e a finanziare il nuovo soggetto e le campagne elettorali”. E’ quanto racconta un dirigente di Azione all’agenzia Ansa, commentando i retroscena apparsi sui giornali in questi giorni e definendo “inaccettabili i tatticismi durati mesi dell’ex premier”.

“La pazienza del gruppo dirigente di Azione si è esaurita. In settimana – continua la fonte – si capirà se questo nodo si potrà sciogliere. Se così non sarà il partito unico non potrà nascere”. Matteo Renzi ha sostituito a sorpresa Rosato alla guida del partito, per controllarne direttamente i soldi e la struttura. In questo modo ha delegittimato anche il comitato politico della federazione del Terzo Polo dove oggi non siede nessun rappresentante di IV in grado di prendere impegni. Calenda ritiene inaccettabile questo atteggiamento in quanto contrario agli impegni presi con gli elettori. Dopo mesi di tatticismi da parte di Renzi sul partito unico e le sue assenze dalle attività del Terzo Polo per occuparsi di affari privati, a cui da ultimo si è aggiunto Il Riformista, la pazienza del gruppo dirigente di Azione si è esaurita. In settimana – conclude la fonte – si capirà se questo nodo si potrà sciogliere. Se così non sarà il partito unico non potrà nascere”.

La replica dei renziani non si è fatta attendere. “Non c’è nessun tatticismo di Italia Viva. Abbiamo deciso di fare un congresso democratico in cui ci si confronti a viso aperto e non con le veline anonime” così in una nota Alessia Cappello e Ciro Buonajuto, portavoce nazionali di Italia Viva. “Ci sono le date già fissate, ci sono le regole decise da Calenda comprese quelle sul tesseramento, ci sono i gruppi di lavoro con i nomi già decisi, c’è il comitato politico. Noi siamo pronti al congresso che Calenda ha chiesto di fare. E ci mettiamo nome e cognome. C’è qualcuno che cambia idea una volta al giorno, ma quel qualcuno non siamo noi”.

“Leggo polemiche dentro il Terzo Polo. Mi dispiace. Abbiamo scelto di fare un partito unico e abbiamo già definito le date. Noi non cambiamo idea e lavoriamo in questa direzione”, scrive su Twitter Maria Elena Boschi.

Dichiarazioni di facciata che celano, invece, un big bang all’interno del Terzo Polo ma soprattutto per una partita che vedrebbe in vantaggio al congresso i renziani. E se poi mettiamo sul tappeto verde la variabile impazzita di Forza Italia legata alla salute del suo fondatore, Silvio Berlusconi, tutto diventa ancora più complicato. Il rischio di una scissione nel dopo Berlusconi è data per cosa certa. E, infine, con la Meloni che arretrando nei sondaggi, sarebbe costretta a ricevere assist da Renzi, che da bravo “affarista” le darebbe volentieri un aiutino in cambio magari di qualche nomina.

Ma c’è anche e non di meno conto, l’aspetto economico. Infatti nel pomeriggio il leader di Azione incontrerà i suoi e alle 21.30 toccherà al senatore di Italia viva. Il 2 per mille di Iv vale due milioni di euro, se ci fosse lo strappo i parlamentari dei due partiti del Terzo polo finirebbero nel Misto. E non è escluso che questa vicenda finisca a “tarallucci e vino”.

(fonte Ansa – Huffpost)

Articolo del 5 febbraio 2018 – Erano i tempi del mondiale Italia ’90, quelli del grande Totò Schillaci per intenderci e, a Palermo, oltre al problema del traffico, aleggiava sempre quello dell’emergenza idrica. Come dire che nella nostra amata città le lezioni sono servite a poco. Sempre rimandati a settembre, come a scuola.

Anche a quei tempi il sindaco di Palermo era Leoluca Orlando. Un evento che doveva essere curato nei particolari con un’operazione di “maquillage” per la città. L’emergenza, almeno all’apparenza, era quella dei parcheggi di cui la città era sprovvista. Palermo sarebbe stata “invasa” da migliaia di persone. E la necessità di avere questi spazi era la priorità. Si pensò addirittura di costruirne uno che potesse arrivare fino allo Stadio della Favorita attraverso un tunnel in sotterranea, che avrebbe dovuto percorrere via Libertà. Ma ovviamente l’idea fu subito accantonata.

Ma non si sarebbe mai immaginato che il vero pericolo, da lì a qualche anno, non sarebbe stato quello dei parcheggi, ma quello dell’acqua in una Palermo dove i silos erano diventati simboli e specchio di un’emergenza eterna. Ve li ricordate? Quelle “installazioni” collocate nei quartieri palermitani, dove la gente si metteva in coda per riempire l’acqua. La città era a secco.

Ma ritorniamo ai mondiali. Quell’estate era calda a Palermo. Gran parte della città viveva il dramma del razionamento dell’acqua e in alcune zone la mancanza era totale. Con i rubinetti a secco fu un attimo e le proteste si fecero sentire. Tra blocchi stradali e cassonetti bruciati, proprio quando il mondiale stava prendendo il via. Una vero danno d’immagine per la città.

E adesso, come in una macchina del tempo, la scena di quel “film” si ripropone tra scarica barile, assist trasversali e varie dichiarazioni. Oggi parla anche Giusto Catania, capogruppo di Sinistra Comune, di una “Palermo restata a secco a causa della gestione fallimentare di questi ultimi anni e le disastrose politiche della Regione”. E anche la pentastellata in consiglio comunale, Concetta Amella, che non si spiega come “l’acqua raccolta nelle circa cinquanta dighe presenti in Sicilia ed affidate a Sicilacque, nella stragrande maggioranza dei casi, vengano svuotate in mare, emulando la follia che va in scena nel depuratore di Palermo, ad Acqua dei Corsari, che  getta in mare 500 litri di acqua al secondo”. Di tenore diverso il sindaco Orlando, che chiede, in raccordo con il presidente della Regione Musumeci e del presidente del Consiglio Gentiloni, lo “stato di calamità naturale per Palermo e nella intera Sicilia”.

Tutto, ovviamente, come da copione. Sono passati trent’anni, ma i problemi sono sempre là e quando escono fuori dal cilindro come conigli, non resta che tentare di farli scomparire attraverso una “magia”. Intanto Palermo, che in questi giorni ha vissuto l’avvio ufficiale del conferimento di città italiana “Capitale della cultura 2018”, rimane al palo. Di chi siano le colpe forse è il male minore. La paura, invece, è che lo spettro dei Silos possa ritornare.

(Foto di Franco Lannino Studio Camera)

Le passerelle non mi sono mai piaciute. Tanto per essere chiari quelle che i politici sono soliti usare per costruirsi l’alibi perfetto. Un modo per pulirsi la coscienza, quando la presenza diventa soltanto la cartina di tornasole del problema. E nell’alchimia dei loro gesti c’è il peggio del peggio. E’ come rispolverare il vecchio stereotipo dell’eredità precedente.

Quel modello che si applica, con preciso e puntuale rigore, sempre all’indomani di una vittoria elettorale. Si rievoca il disastro creato dalle precedenti gestioni e il gioco è fatto. Come un’equazione matematica che non ha colore politico ma un risultato non opinabile, perchè fatta soltanto di numeri da comporre. Lo ha fatto Crocetta prima, Musumeci dopo e come in un rilancio da poker sia Cammarata che Orlando e non solo loro. Uno sport per il quale non si hanno rivali. E se si potesse trovare un modo per candidarli sarebbero tutti da premio Nobel.

Intanto gli “ultimi” rimangono sempre là, sospesi in un limbo. In quel precipizio fatto da false promesse, da costruzioni senza fondamenta. E in quei palazzi di carta ci si accorge solo del problema quando è troppo evidente che il problema stesso è percepibile a tutti. In quell’istante gli “esclusi” diventano preda e la “solidarietà” diventa per loro un obbligo morale. Perchè immaginare una politica a servizio di chi soffre è la “tempesta perfetta”. Quella che non vorresti mai vedere davanti ai tuoi occhi, ma che all’improvviso ti colpisce come un’onda anomala. E la protesta di Biagio Conte, che da giorni dorme sotto i portici del palazzo delle Poste di via Roma, ne è testimonianza.

Il “primato della politica” allora viene sotterrato come un’ascia da guerra. Si continua a renderlo inerme, a indebolirlo. E le passerelle, invece, sembrano essere perfette con tutta la loro ipocrisia. Nessuno potrebbe obiettare quell’atto nobile, quel contributo ideale, quella vicinanza. Momenti che poi si perdono nell’oblio. E gli “ultimi” rimangono sempre “ultimi”, non perchè lo vogliano, ma perchè uomini che vivono la loro dignità fino in fondo. Ma domani tutto continuerà con lo stesso ritmo e con gli stessi proclami, in una terra che definire “irredimibile” non significa essere qualunquisti, ma guardare quell’orizzonte che sembra inarrivabile.

Parole e immagini sono trasmettitori di emozioni. Un connubio che, talvolta, è difficile spiegare se non vivi quei luoghi di sofferenza, che prima albergavano soltanto nella tua immaginazione. Raccontare, oggi, dei tanti medici che lavorano contro quel mostro chiamato coronavirus, potrebbe sembrare forse fin troppo retorico. Ma questa volta voglio essere fin troppo “retorico” e “banale” nel parlarvi di una squadra di uomini e donne, che ho conosciuto in questi mesi, impegnati senza sosta a combattere questa battaglia, con il sorriso sotto le mascherine.

Il reparto è quello di terapia intensiva cardiologica dell’ospedale Ingrassia di Palermo, dove medici e infermieri guidati dal primario Sergio Fasullo, hanno realizzato un video, postato su youtube. Un messaggio di forza e di speranza al “grido” degli hashtag: #nessunosipuòtirareindietro #distantimauniti #rimaniamodistantioggiperrimanereunitidomani #nonsaràfacilemapossiamofarlaandarebene #starelontanononsignificaamaredimeno.

Perchè ascoltando le parole del loro “capitano”, “ho imparato che si può sorridere anche indossando la mascherina…si può sorridere con gli occhi”, dobbiamo fare nostro il loro appello: “restiamo a casa…ce la possiamo fare”. Certi, anzi certissimi, che ce la faremo.

IL VIDEO

Una situazione che a prima vista potrebbe ingannare: una fake news ben confezionata se non fosse amaramente e tristemente vera. Come potete vedere, nel video postato dall’agenzia Ansa, le strade di Parigi affollate di gente.

Panifici, rosticcerie fruttivendoli. Nonostante l’emergenza coronavirus i parigini, possiamo dire da incoscienti, non hanno rinunciano alla spesa della domenica nelle botteghe di quartiere.

Il risultato è che rue Montorgueil, nel seconda circoscrizione della capitale francese, era piena di persone: c’è chi camminava tra un negozio e l’altro, chi in coda in attesa di entrare e chi approfittava della “bella giornata di sole” per una passeggiata all’aria aperta.

Un atteggiamento da irresponsabili o da stupidi? A voi lasciamo “l’impietoso” giudizio!

Gli imprenditori siciliani lanciano un grido di allarme affermando di non aver le risorse per pagare le tasse, bocciando, di fatto, la manovra Cura Italia predisposta dal governo.

Un SOS corale che emerge da un sondaggio realizzato da Sicindustria e rivolto alle imprese. Il sondaggio su base regionale è stato svolto su un campione significativo di imprese e rappresenta la fotografia dell’attuale situazione in cui versa l’economia siciliana.

Le domande proposte al mondo produttivo riguardano prevalentemente la disponibilità di risorse necessarie al pagamento dei contributi, delle imposte, dei fornitori, insomma il tema pressante della liquidità delle imprese. Focus anche sui vincoli burocratici relativi alla regolarità contributiva, e infine un giudizio complessivo sull’efficacia del decreto legge “Cura Italia”. Sei domande in tutto. Ecco il giudizio, impietoso, che viene fuori.

L’85 per cento degli imprenditori bolla come insufficiente l’intervento delgoverno con la manovra “Cura Italia”. Il 12,2 per cento lo valuta sufficiente. Il restante 2,6% lo giudica buono.

La liquidità. Un dato secco e allarmante: l’80% delle imprese non ha i soldi per pagare regolarmente imposte e tasse. E ancora, nel dettaglio: il 67,2% degli imprenditori ha dichiarato che si trovano nella condizione di non poter adempiere al versamento dei tributi locali, come l’IMU o la Tari.

Drammaticamente identica la percentuale delle imprese che si trova nelle condizioni di non poter pagare regolarmente le forniture nei prossimi 60 giorni. Il 68,7% delle imprese ascoltate ha dichiarato di non poter pagare gli stipendi e i contributi del personale nei prossimi 60 giorni.

Alla paralisi dovuta alla pandemia da Coronavirus si aggiunge un ulteriore aggravamento, che è quello della burocrazia. Quasi ¾ delle imprese ascoltate (il 74,8%) ritiene necessaria la sospensione delle regole di rilascio del DURC, il documento che attesta la regolarità contributiva di un’impresa.

“In una situazione d’emergenza le arcaiche procedure burocratiche esistenti a livello regionale e nazionale – afferma il presidente di Sicindustria Alessandro Albanese – rischiano di determinare la chiusura di centinaia di imprese. Abbiamo evidenza che le attività relative alle procedure della CIGD (cassa integrazione in deroga) sono in forte ritardo e appesantite da adempimenti burocratici inutili: in Sicilia non è ancora aperto il termine per presentare le domande. E questo determinerà ulteriori disagi e tensioni sociali. I pagamenti da parte delle pubbliche amministrazioni alle imprese subiscono ulteriori e incomprensibili ritardi; si susseguono annunci su ipotetiche misure regionali a sostegno delle imprese ma nulla di concreto. Anche i provvedimenti e le offerte del sistema bancario per garantire la liquidità alle aziende sono rimasti legati a procedure di valutazione, che non tengono conto del momento emergenziale e della mancanza di un sistema di autofinanziamento delle aziende stesse legato ai normali flussi di cassa”.

Sicuramente – conclude Albanese – sconfiggeremo il Coronavirus ma è altrettanto probabile che le imprese vengano uccise da un miope e bizantino sistema burocratico”.

Un Matteo Renzi che mostra inequivocabilmente paura e debolezza politica quando, durante un’intervista al festival de Linkiesta a Milano, dice “che andare a votare ora significa consegnare totalmente il Paese a Salvini. Si chiama masochismo. Se il Partito democratico e il M5S scelgono di farlo, disintegreranno la propria rappresentanza in Parlamento”.

Un messaggio che non si presta a interpretazioni pindariche, ma piuttosto fotografa l’attuale situazione politica che, rispetto a un mese fa, vede all’orizzonte il serio rischio che in primavera si possa ritornare al voto.

“Se ci sarà una crisi di governo – aggiunge Renzi – seguiremo la Costituzione ma ora dobbiamo pensare a risolvere i problemi. E sull’operazione Conte2 mette di fatto il proprio sigillo, rivendicando la sua “longa manus” alla costruzione del governo giallorosso. “Siamo riusciti a mettere la museruola a un tentativo di distruggere la credibilità dell’Italia. Noi abbiamo fatto un’operazione di igiene che ha salvato un Paese da un rischio pericoloso”.

Ma dietro il paventato pericolo chiamato “Salvini” in effetti si cela quella che è la madre di tutte le battaglie: non perdere l’Emilia Romagna. Il 26 gennaio 2019 in quella Regione, roccaforte rossa da sempre, si traccerà una sorta di linea Maginot. Sarà davvero così? Oppure l’ex premier sta operando una fine strategia preventiva per poi addossare le colpe a Zingaretti, tentando così la carta dell’alibi perfetto e la conseguente dissoluzione del partito democratico? Questa mossa gli consentirebbe di drenare consenso e portare dentro uomini del Pd, in considerazione che la sua nuova creatura, per adesso, è ferma ad una forbice che oscilla tra il 5 e il 6%. Percentuali basse che potrebbero crescere evocando quel canto delle sirene proveniente dalle parti di Forza Italia.

E’ noto infatti che da tempo Renzi “corteggi”, politicamente parlando, la vice presidente della Camera e deputata di Forza Italia, Mara Carfagna. “Porte aperte a chi vorrà venire non da ospite ma da dirigente. Vale per la Carfagna e per gli altri dirigenti del suo partito, ma noi non tiriamo la giacchetta”. E l’ex pupilla di Berlusconi ha subito replicato: “Se Renzi dichiarasse di non voler sostenere più il governo di sinistra ma di avere altre ambizioni, Forza Italia Viva potrebbe essere una suggestione”.

“Oggi io e Renzi siamo in due metà campo diverse – ha aggiunto – e non so cosa accadrà nei prossimi giorni, ma molti dopo 25 anni non si sentono a proprio agio in Forza Italia, oggi si sentono a casa d’altri”.

“Mi fa rabbia la sudditanza psicologica nei confronti del sovranismo che è dannosa per il nostro partito, per le alleanze internazionali. In nessun Paese i partiti liberali sono affetti da sudditanza verso le destre estreme. Non mi piace e non lo accetto. Non è un destino ineluttabile che un partito di centro come Forza Italia sia destinato a essere bloccato al 5 per cento. Vedo un atteggiamento rinunciatario e il centrodestra deve essere equilibrato. Oggi non vedo un centrodestra ma una destra-destra, è quello che è accaduto in Umbria rischia di accadere in Emilia Romagna”.

Carfagna ha poi parlato dell’ipotesi di candidarsi alle regionali in Campania: “É un discorso prematuro, si vota a maggio, bisogna essere pronti a ogni sfida. Governare quella terra è una sfida enorme, chi fa politica non può tirarsi indietro di fronte a eventuali sfide”. E dichiarando di aver parlato Silvio Berlusconi ha aggiunto: “Candidata per gentile concessione di Salvini? Sono commossa ed emozionata”.

E infine su twitter ha precisato che il suo campo politico rimane il centrodestra, lasciando intendere che la sua possibile candidatura come governatrice della Campania spazzerebbe qualsiasi “abiura” nei confronti del sovranismo a traino salviniano. E la contesa di Mara Carfagna, tra i due Matteo, rimane apertissima.

fonte foto huffingtonpost.it

La Palermo semplice, viva, autentica e profumata è una città che non c’è più. Chi ne ha vissuto i fasti la immagina soltanto nei propri ricordi, come scatti ingialliti di una vecchia polaroid.

Quella della passeggiata alla Marina, delle domeniche in bicicletta tra i vialetti di villa Sperlinga, del giardino Inglese, della Palazzina Cinese, di Villa Giulia con il leone “Ciccio”, delle mitiche sfogliatelle dell’Extra bar di piazza Politeama, dell’immancabile rito dell’Autista al “Pinguino” (clicca qui per leggere un ricordo) e dell’indimenticabile mangiata di polpi a Mondello tra le baracche dei pescatori che, anche se abusive, avevano un fascino unico. Tanto per citare quelli che mi vengono a mente.

Ma nel palcoscenico degli amarcord della nostra cara amata Palermo, c’è anche quella martoriata dai morti ammazzati di mafia degli anni ‘80, che si segnavano tristemente come i giorni sul calendario della “naja” militare. Le immagini di quello “scannamento” che sembrava non finire mai.

E se quel buio di morte e di sangue “mascariava” la bellezza e la storia della capitale di Sicilia a quel tempo, comunque, si respirava un’altra aria. E non il livello di Pm10 (polveri sottili tanto per intenderci) che era già presente, ma  un’aria che malgrado tutto, so bene non riuscirò più a sentire sulla mia pelle.

Una città che si nutriva di se stessa, della propria forza, in un tessuto commerciale ancora solido che ne era ossatura economica e di sviluppo. Oggi, invece, è un susseguirsi di saracinesche abbassate, di magazzini in affitto e di procedure fallimentari con numeri davvero da day after. Per non parlare del degrado e dell’inesistente senso civico dei cittadini, unito ad un’Amministrazione che poco ha fatto tra annunci di task force più o meno “fallite”.

La foto di questo pezzo è sicuramente figlia dell’inciviltà ma anche dell’indifferenza di quella politica che nella propria agenda, dopo anni di governo, avrebbe dovuto mettere al primo punto il decoro. E, invece, niente, perchè in fondo non è una questione di colore politico ma soltanto di scelte, sempre e, comunque, sbagliate. Per essere chiaro nessun amministrazione ha veramente affrontato il problema.

E che dire dei tantissimi cartelli di vendita e di affitto, affissi quasi in ogni condominio. E il mio pensiero va a tutti i nostri genitori che nel boom economico degli anni ‘60 hanno sacrificato la propria vita per costruire l’agognato “tetto”.

E non parlatemi per favore di retorica, di populismo o dell’alibi della crisi, perché proprio dietro la retorica e la crisi si sono consumati i più grandi scempi. La verità è che Palermo è dannatamente vittima di se stessa anche se la si vuole ostinatamente dipingere come la #FelicissimaPalermo.

Di lei rimarrà solo quella foto ingiallita di un’epoca passata che forse, nel bene e nel male, abbiamo avuto la fortuna di vivere. Vediamo e vedremo sì, le migliaia di turisti che la visitano ogni anno ma che, oltre agli scatti della Palermo d’arte, immortaleranno la nostra “munnizza” quasi come “scalpo” da esibire per una città irrimediabilmente “irredimibile”, come in un triste esercizio di parole.

Il ginepraio di dichiarazioni incrociate, da parte di eminenti esponenti dell’area governativa che sostiene Crocetta, di fatto sembrano essere una vera e propria chiamata alle armi: “o si fa la Sicilia o si muore”. Detto di antica memoria che rende bene, comunque, il senso di quell’esperienza politica, nata appena un anno e mezzo fa con la tanto sbandierata rivoluzione dell’ex sindaco di Gela e che sembrerebbe, oggi, volgere al termine.

Ma sarà davvero così? Oppure ci ritroviamo ad assistere, come sempre, al solito gioco delle tre carte: tentativo subdolo per mettere sul tavolo “validi argomenti” o presunti “impegni” da assolvere, agitando come strumento di ricatto politico, da parte di ambedue contendenti, lo spettro di possibili dimissioni e, dunque, di ritorno alle urne?

In una Sicilia dove vivono e albergano i paradossi come quello di Termini Imerese, chiusa mentre la Fiat annuncia di aver acquistato la Chrysler americana (storie degne di un romanzo giallo); dove l’economia è paralizzata, con la conseguente morte delle realtà produttive medio-piccole; dove il turismo, invece di essere posto come volano finanziario dell’isola, viene ignorato dall’agenda di governo e dove i giovani, oltre a rinunciare al diritto di un lavoro, devono per forza di cose rinunciare ad essere padri, tutto è possibile, così come il delitto perfetto!

Un quadro spettrale per un elenco infinito che potremmo collezionare, come quei diabolik pagati a nostre spese all’esimio onorevole di turno, per non parlare delle altre regalie e di ciò che ancora non conosciamo. E se, invece, fosse proprio questo l’alibi per uscire di scena? Insomma il delitto perfetto di cui sopra! 

Una sorta di exit strategy bipartisan per dire che la rivoluzione c’era, si stava attuando, ma che per colpa di una cravatta Hermes, qualche panettone di troppo ed un regalo di nozze, tutto è stato rovinato. Solo per salvare la faccia.

A questo punto sarebbe  meglio resettare l’Ars, usando un termine moderno, riavviando l’hard disk del governo, nella speranza che non sia definitivamente danneggiato. Forse tutto ciò non accadrà perché anche i deputati e gli assessori tengono famiglia. La rivoluzione immaginaria vedrete non morirà ma continuerà a sventolare “bandiera bianca”.

Alto mare nel governo giallo-rosso? E’ Luigi Di Maio ad agitare le acque dopo che lo stesso Di Battista, nei giorni scorsi, aveva lanciato strali contro il partito democratico e in particolare sull’affidabilità politica del partito di Zingaretti.

Adesso è lo stesso leader grillino dalla sua pagina facebook a dire che di “nuovi balzelli non se ne parla. Il riferimento più che chiaro è alla proposta avanzata dal ministro Lorenzo Fioramonti di una tassa sulle merendine e avallata dallo stesso premier Giuseppe Conte.

“Noi abbiamo come obiettivo quello di abbassare le tasse – scrive Di Maio nel post del social network – non di aumentarle. E secondo me è totalmente sbagliato scatenare un dibattito ogni giorno per parlare di nuovi balzelli. Un governo che pensa ai cittadini lavora per bloccare l’aumento dell’IVA, che avrebbe comportato una spesa di più di 500 euro a famiglia, l’anno prossimo. Ed è questo Governo che noi sosteniamo”.

Ma il segnale che sa molto di campanellino d’allarme lo lancia quando afferma “che questo governo esiste, è perché lo sostiene il MoVimento 5 Stelle. Lavoreremo al documento di economia e finanze per permettere agli italiani di vivere un 2020 migliore. Questo è il nostro obiettivo ed è così che vogliamo andare avanti. Qualcuno dirà che stiamo dando un ultimatum al Governo. Ma io non sono stato eletto per passare le mie giornate a dire che non è così. A noi interessa parlare chiaro e portare a casa i risultati. E sempre per parlare chiaro, mercoledì alla Camera si decide quando calendarizzare l’ultimo voto sul taglio dei parlamentari. Ci aspettiamo tempi rapidi e zero scuse”.

Quindi l’ultimatum è ben servito ma riferito all’altro cavallo di battaglia dei cinquestelle che esaurita la sbornia e l’effetto da “reddito di cittadinanza”, puntano sull’unica fiche rimasta: il taglio dei parlamentari. E se di forzatura si tratta (gli stessi democratici hanno dichiarato che non accettano ultimatum sui provvedimenti), Di Maio potrebbe trovarsi nuovamente al centro del dibattito politico dopo essere stato di fatto “commissariato” sia da Conte che dal suo mentore Grillo. Anche se alla fine il collante che regge la compagine di governo è sicuramente più forte di qualsiasi improbabile lite, utile forse a dare la parvenza di una contrattualità politica ma con il sapore più da cadegra (ndr: seggiola) che del bene comune.