Tag

cinquestelle

Browsing

E’ innegabile che il sindaco Orlando sia sotto attacco, politicamente parlando. E nella situazione di de profundis per Palermo, sotto gli occhi di tutti, anche il  “nobile” riconoscimento di Capitale italiana della cultura sembra essere come svanito, eclissato. Almeno questa è la sensazione che si ha se si vuole essere onesti intellettualmente, mettendo da parte la propaganda e accettando l’evidenza che, purtroppo, fa male a tutti.

I “droni” dell’armata che hanno sferrato questa “battaglia” e che da tempo volano su Palazzo delle Aquile, sembrano dotati di una fonte inesauribile, alimentati probabilmente a luce interstellare. E neanche il sindaco Orlando, seppure nella riconosciuta capacità di grande stregone della politica, è riuscito ad avere i codici di lancio o più semplicemente individuare il chip per distruggere questo strumento infernale.

Si tratta di “osservatori” e “inquisitori” con obiettivi ben precisi, in una situazione dove sinceramente sparare sulla Croce rossa diventa semplicissimo come fare 2+2. E poi c’è l’opposizione a Sala delle Lapidi, anzi scusate quella non pervenuta. Solo nelle ultime settimane il gruppo consiliare dei cinquestelle ha alzato il tiro nei confronti del primo cittadino parlando addirittura di fallimento del Comune (precisiamo non essere un endorsement ai pentastellati, ma solo una costatazione). Certo verrebbe da dire “meglio tardi che mai”, ma lo spettro di un eventuale default qualche problema “tecnico” di ricandidatura ai consiglieri lo creerebbe sicuramente, quindi meglio prevenire che poi curare il malato terminale.

In tutto questo c’è il silenzio di Forza Italia, partito che a Palermo, ai tempi del cappotto nel 2001 di Miccichè (61 a 0), per intenderci non quello da indossare, faceva numeri impensabili ed era al governo della città.

Il partito azzurro, avversario da sempre di Orlando, ma mai nemico, oggi ha scelto di non fare opposizione al primo cittadinoUn vero e proprio “assist” politico che proverrebbe da uno scranno altrettanto prestigioso, diciamo dalle parti di piazza Parlamento. Magari si tratterà di una strana coincidenza, ma come diceva Andreotti: “A pensare male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca”. Perchè meglio stare in pace che farsi la guerra. E intanto Palermo non può che sperare in un miracolo di Santa Rosalia. Luglio, in fondo, non è poi così lontano.

 

Non c’e ombra di dubbio che i risultati delle elezioni regionali in Molise e Friuli Venezia Giulia e lo stallo sul governo hanno influenzato l’orientamento del corpo elettorale. E dall’ultimo sondaggio di Nando Pagnoncelli, commissionato dal Corsera, questa indicazione emerge chiaramente.

La Lega che sale al 21 per cento, Salvini leader più gradito, il M5S che si conferma primo partito al 33,7 per cento e il partito democratico che scende ancora, perdendo l’1,2 per cento.

Pagnoncelli evidenzia come gli orientamenti del voto facciano segnare due variazioni di rilievo: crescita della Lega che passa dal 19,5% di due settimane fa al 21,2% (+1,7%) e calo del Pd dal 19,5% al 18,3% (-1,2%).

Al primo posto si conferma il M5S con il 33,7% (+0,2%), seguito da Lega e Pd, quindi Forza Italia con il 13,1% (+0,2%), Fratelli d’Italia (3,6%, in calo di 0,7%), Liberi e Uguali (2,8%) e Più Europa (2,2%).

Il quadro complessivo è rappresentativo del voto che gli italiani hanno espresso il 4 marzo scorso: il centrodestra è la prima coalizione e sfiora il 39% dei consensi, avvicinandosi alla soglia del 40% che potrebbe garantire la maggioranza, i pentastellati consolidano il loro primato, il centrosinistra arretra di 1,4%, mentre i partiti più piccoli perdono, forse penalizzati da una minore visibilità mediatica.

“L’indice di gradimento dei leader, dice Pagnoncelli spiegando il sondaggio fa registrare un cambiamento nelle posizioni del podio, infatti mentre in aprile Di Maio (indice 45) precedeva Salvini (43) e Gentiloni (41), oggi Salvini (44) prevale su Gentiloni (43) e Di Maio (37), scivolato al terzo posto con un calo di 8 punti. A seguire Fico (35, in calo di 4 punti), Meloni (29), Casellati (24, in crescita di 5 punti dopo la ribalta del mandato esplorativo), Berlusconi (23) e Martina (21). Chiudono la graduatoria Renzi (15) e Grasso (14), entrambi in flessione.

Non resta che aspettare i numeri reali, quelli delle urne, in considerazione che le elezioni anticipate prendono sempre più quota, assieme al ritorno di due dei temi cari a leghisti e grillini: quelli di no euro e no migranti. E non dimentichiamo sempre e, comunque, di non prendere troppo sul serio i sondaggi.

 

 

E’ di fatto un’apertura di accordo con i cinquestelle, quella che chiede il sindaco Leoluca Orlando, anche se nei mesi scorsi aveva parlato di “derive populiste” riferendosi proprio al M5s.

“L’Italia e gli italiani hanno necessità di avere un governo – dice Orlando -. Il Pd ha necessità di recuperare identità ed organizzazione, rafforzando il rapporto con i cittadini e con i territori e proseguendo in una azione politica di attenzione ai diritti di tutti e alle fasce deboli e ai mezzogiorni di Italia. Su queste premesse il Pd può certamente partecipare ad un confronto programmatico con il partito 5 stelle su alcune priorità utili al Paese. Ma se tale confronto dovesse registrare contrasti e divisioni tra gli attuali gruppi dirigenti, anche su un eventuale sostegno esterno e su precise scelte programmatiche, è preferibile evitare di compromettere ulteriormente la credibilità e la fiducia da parte degli aderenti e degli elettori”.

E conclude dicendo: “Ciò che sento è il dovere di esprimere un invito a tutti, proprio a i tutti i dirigenti nazionali, all’unità, superando ogni personalismo che costituisce un male che ha prodotto e rischia anche nel futuro di produrre danni al partito e agli interessi del nostro paese.”

E’ un fiume in piena, inarrestabile, quello che da oggi sta “inondando” la bacheca facebook di Luigi Di Maio. La base grillina in rivolta contro il suo pupillo e su twitter i militanti del Pd rilanciano l’hashtag #senzadime

“Onorevole Di Maioscrive Evase il M5S farà accordi col Pd stavolta il tradimento non passerà indenne, verremo tutti a Roma e vi sbatteremo fuori tutti, sul serio, voi compresi. Traditori”. “Al bar stamattina invece del caffè chiedevano le scatolette di tonno. Impostori”, le fa eco Alessandra. “Prima insulti il Pd per il suo mal governo e adesso inciuci solo per la poltrona”, punta il dito Simone.

E sono innumerevoli i commenti di chi giura di non votare mai più il Movimento: “Per quanto mi riguarda, mai con il Pd scrive Cosimo i suoi massimi dirigenti hanno sempre inciuciato con Berlusconi. Spero si tratti solo di tatticismo per convincere Salvini, se questo non fosse possibile meglio andare al voto oppure all’opposizione”.

“Stiamo tradendo il risultato elettorale denuncia Andrej -. Stiamo inciuciando con il Pd! Il M5S sta morendo. Svegliatevi e ribellatevi elettori con due stelle sugli occhi”.

“Ha ragione Salviniscrive un altro attivista pentitogratti grillino e trovi piddino. Vergogna”. E sono diversi i commenti che guardano con favore al Carroccio, annunciando un cambio di casacca in cabina elettorale. Qualcuno va giù durissimo, dando a Di Maio del “Giuda” e del traditore.
Tra questi Ivan: “Tra poco andrai ad elemosinare voti anche ai kebabbari – attacca – che figura avete fatto. Per quanto io possa odiare Renzi, mi auguro ti umilii fino a farti dire basta con la politica”.

Certo sempre di social si tratta, ma se il consenso “democratico” della rete è per i cinquestelle l’espressione maxima, da domani potrebbe essere il loro boomerang.

Il secondo giro di consultazione della Casellati si risolverà sicuramente con un nulla di fatto. Il presidente del Senato sa bene che la strada è tutta in salita. Domani andrà a riferire a Mattarella sugli esiti degli incontri avuti con le forze parlamentari e la possibilità di un governo tra il centrodestra e il M5S è pari allo zero.

E come nel gioco degli scacchi, la mossa del cavallo potrebbe essere quella determinante ma celare, al tempo stesso, la trappola che Matteo Renzi muoverebbe contro i cinquestelle. Da sempre l’ex premier ha manifestato la sua netta contrarietà ad un dialogo con i grillini, rei di aver avversato la politica del Pd e, in particolare i provvedimenti che lo stesso Renzi aveva voluto, uno trai tanti quello del job act.  Per non parlare della distanza siderale sul tema del reddito di cittadinanza e dell’abolizione della legge Fornero.

A questo punto la strategia di Renzi, che pressato dall’area di minoranza ad un’apertura nei confronti dei grillini, magari con una discussione in direzione, non potrà che essere quella dei classici bastoni in mezzo alle ruote. Nei fatti la trappola di cui sopra. Alzerà talmente il prezzo, mettendo come primo paletto, quello di un veto insormontabile su Di Maio premier, per poi chiedere un secco no a qualsiasi modifica o cancellazione del suo cavallo di battaglia, il già citato job act. Posizioni sulle quali i cinquestelle saranno messi all’angolo, così come l’area piddina che vuole a tutti costi trovare un’intesa per andare al governo.

E se il fallimento dell’eventuale mandato esplorativo affidato a Fico, che seguirebbe la stessa sorte della Casellati, sarà consumato, a quel punto Mattarella non potrebbe che tracciare la strada per un governo istituzionale. E su questo percorso si possono fare due ipotesi:  un governo con i voti di cinquestelle e di tutto il Pd, che Renzi sarebbe costretto ad accettare, e strutturato su una serie di punti programmatici, ma con margini che sembrano poco realizzabili; o un  governo guidato da Giancarlo Giorgetti, vice di Salvini o da altra figura, che chiederebbe in parlamento i voti di tutti. E che in molti pensano possa essere la soluzione per avere i voti del partito democratico, con la regia di Renzi ed escludere i cinquestelle dalla partita del governo.

In fondo anche oggi, con un tweet, Ettore Rosato è stato chiaro, rispondendo al grillino Toninelli. Un modo per agevolare, paradossalmente, la mossa del cavallo di Renzi e portare avanti il lavoro, chiudendo la partita del governo. E Di Maio scalpita cercando di aprire una crepa nel Pd, nella speranza che il sogno di diventare premier, non rimanga solo un sogno.

 

 

 

I soldi non hanno odore come recitava una famosa citazione latina: “pecunia non olet”. E il potere ne segue sempre la stessa sorte: quando ne senti il vento non ne puoi fare più a meno.

Una brezza che i cinquestelle prima disprezzavano in ogni forma. Erano i giorni dei vaffa, delle dichiarazioni forti. Un movimento che professava, senza se e senza ma, di essere orgogliosamente diverso: fuori dal sistema e contro il sistema. Ma quando sei dentro la politica, nei palazzi e nei meccanismi che governano quel pianeta la catarsi è ad un passo.

Ed è proprio in quel momento che diventi “democristiano”, rievocando quel lessico da politici in doppio petto di un tempo, ed entrando in quella casta che avevi sempre rinnegato.

“Salvini è uno che quando dice una cosa poi la mantiene e questa è una cosa rara”. Non sono parole pronunciate da Berlusconi, che già potrebbero far discutere all’indomani dello scacco leghista in salsa berniniana. Ma da Beppe Grillo che, davanti alle telecamere della Rai, ha lanciato oggi un chiaro messaggio al capo della Lega.

E continuando nel suo istrionismo, da deformazione professionale, parla di Roberto Fico “come persona straordinaria” e di Luigi Di Maio, come uno “statista”. Preludio di un accordo politico per il governo del paese già ratificato con Salvini e con il benestare di Casaleggio? Chissà!

Dimenticavo Mattarella! Al Presidente magari farebbe comodo aver levate le castagne dal fuoco, accelerando il processo per la formazione del governo. Ma ciò che sarebbe interessante è ascoltare i militanti grillini e quelli leghisti per capire se questo “matrimonio s’ha da fare”. Tanto per sapere se dobbiamo morire “democristiani” o ritornare a sentire i vaffa che tanto ci piacevano e, forse, anche quelli per cui Grillo & co sono imbattibili.