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La Palermo semplice, viva, autentica e profumata è una città che non c’è più. Chi ne ha vissuto i fasti la immagina soltanto nei propri ricordi, come scatti ingialliti di una vecchia polaroid.

Quella della passeggiata alla Marina, delle domeniche in bicicletta tra i vialetti di villa Sperlinga, del giardino Inglese, della Palazzina Cinese, di Villa Giulia con il leone “Ciccio”, delle mitiche sfogliatelle dell’Extra bar di piazza Politeama, dell’immancabile rito dell’Autista al “Pinguino” (clicca qui per leggere un ricordo) e dell’indimenticabile mangiata di polpi a Mondello tra le baracche dei pescatori che, anche se abusive, avevano un fascino unico. Tanto per citare quelli che mi vengono a mente.

Ma nel palcoscenico degli amarcord della nostra cara amata Palermo, c’è anche quella martoriata dai morti ammazzati di mafia degli anni ‘80, che si segnavano tristemente come i giorni sul calendario della “naja” militare. Le immagini di quello “scannamento” che sembrava non finire mai.

E se quel buio di morte e di sangue “mascariava” la bellezza e la storia della capitale di Sicilia a quel tempo, comunque, si respirava un’altra aria. E non il livello di Pm10 (polveri sottili tanto per intenderci) che era già presente, ma  un’aria che malgrado tutto, so bene non riuscirò più a sentire sulla mia pelle.

Una città che si nutriva di se stessa, della propria forza, in un tessuto commerciale ancora solido che ne era ossatura economica e di sviluppo. Oggi, invece, è un susseguirsi di saracinesche abbassate, di magazzini in affitto e di procedure fallimentari con numeri davvero da day after. Per non parlare del degrado e dell’inesistente senso civico dei cittadini, unito ad un’Amministrazione che poco ha fatto tra annunci di task force più o meno “fallite”.

La foto di questo pezzo è sicuramente figlia dell’inciviltà ma anche dell’indifferenza di quella politica che nella propria agenda, dopo anni di governo, avrebbe dovuto mettere al primo punto il decoro. E, invece, niente, perchè in fondo non è una questione di colore politico ma soltanto di scelte, sempre e, comunque, sbagliate. Per essere chiaro nessun amministrazione ha veramente affrontato il problema.

E che dire dei tantissimi cartelli di vendita e di affitto, affissi quasi in ogni condominio. E il mio pensiero va a tutti i nostri genitori che nel boom economico degli anni ‘60 hanno sacrificato la propria vita per costruire l’agognato “tetto”.

E non parlatemi per favore di retorica, di populismo o dell’alibi della crisi, perché proprio dietro la retorica e la crisi si sono consumati i più grandi scempi. La verità è che Palermo è dannatamente vittima di se stessa anche se la si vuole ostinatamente dipingere come la #FelicissimaPalermo.

Di lei rimarrà solo quella foto ingiallita di un’epoca passata che forse, nel bene e nel male, abbiamo avuto la fortuna di vivere. Vediamo e vedremo sì, le migliaia di turisti che la visitano ogni anno ma che, oltre agli scatti della Palermo d’arte, immortaleranno la nostra “munnizza” quasi come “scalpo” da esibire per una città irrimediabilmente “irredimibile”, come in un triste esercizio di parole.


La “partita” delle comunali a Palermo è appena iniziata. Potrebbe apparire come un paradosso, ma a tre mesi o poco più dall’appuntamento elettorale, che dovrà esprimere il nuovo sindaco, “pedoni” e “alfieri” sono là a guardarsi, in attesa delle mosse da fare. Un ginepraio tattico, che si muove felpato come da tradizione prettamente nostrana. Ne rivendichiamo con orgoglio il copyright.
Ad oggi, a meno di prodigiose alchimie alla mago Merlino, i nomi dei candidati, che potrebbero andare al ballottaggio, sembrano già delinearsi. Sì, perché, rispetto agli analisti e ai politologi che nel web declamano le proprie certezze in materia, il secondo turno è sicuro come le equazioni che ai tempi di scuola mi facevano impazzire!
Le due recenti aperture di campagna elettorale: quella dell’uscente Orlando e l’altra del suo mancato figliol prodigo, Ferrandelli e i posizionamenti delle aree politiche di riferimento, che ufficialmente sembrano essere al di fuori dei partiti, ma che nei fatti stanno costruendo una cornice (ciascuno la sua) di un quadro che prende forma, ne sono la prova provata.
Il terzo incomodo, ossia il M5s, con il suo candidato Forello, non sembra, a meno di eclatanti avvenimenti, poter essere da disturbo ai due blocchi. Poi c’è il Pd o quello che ne resta, diviso tra chi vorrebbe appoggiare il sindaco della fu primavera di Palermo (ndr. Leoluca Orlando) e una parte dichiaratamente schierata con Ferrandelli. Infine, “dulcis in fundo”, quei Democratici che rivendicano l’orgoglio di esprimere un proprio candidato sindaco. Una summa degna di un film thriller, o per gli amanti di altro genere: un horror in salsa siciliana.
Dimenticavo la sinistra. Quella sinistra però che in città ha sempre vinto, ma quando in sella c’era un democristiano. Anzi per dirla tutta solo quando quel democristiano era, anzi è Leoluca Orlando. Perché, realisticamente, Palermo non è mai stata di sinistra, così come non è lo è mai stata di destra nell’accezione etimologica del termine. E i forzisti, che non avendo trovato l’agnello sacrificale, alla fine hanno deciso di “svoltare” dalle parti di Ferrandelli.
Quindi, considerando i “resti”, tanto per usare un termine a caratura di legge elettorale, lo scenario numerico dei candidati a sindaco potrebbe salire a nove! Una frammentazione che inciderà, inevitabilmente, escludendo una vittoria piena al primo giro di “boa”.
Malgrado ciò, il “secondo tempo” lo giocheranno gli stessi giocatori di cinque anni fa, con una piccola differenza che in quelle del 2012, furono determinanti, per la rielezione di Orlando, i voti del centrodestra.
E adesso che il centrodestra appoggerà Ferrandelli, cosa accadrà? Forse all’attuale primo cittadino non resta che sperare nel voto disgiunto, anche se l’effetto trascinamento reintrodotto per legge, di fatto, premia le liste forti.
E su questo attenderei i nomi dei candidati al consiglio comunale di ambedue gli “schieramenti”. Perché saranno questi a fare vincere il prossimo sindaco, in una battaglia che non è soltanto la “presa” di Palazzo delle Aquile, ma la resa dei conti tra il “maestro” e il proprio “allievo”.