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Franco Bechis, direttore del Tempo, fa un’analisi a 360 gradi della mossa di Beppe Grillo, che ieri ha di fatto licenziato l’avvocato del popolo ed ex premier, Giuseppe Conte.

“Il colpo di testa di Beppe Grillo non colpisce solo il Movimento 5 stelle e le bimbe forse inconsolabili di Giuseppe Conte. Mette nei guai Enrico Letta e il suo Pd, e può cambiare anche la navigazione di Mario Draghi, agitando non poco le acque nei prossimi mesi. Il segretario del Pd aveva infatti giocato gran parte della sua scommessa sull’alleanza non tanto con i 5 stelle, ma con l’ex premier che pensava li avrebbe guidati. Letta non si è chiesto quale mandato avesse Conte  per chiudere con lui le possibili alleanze elettorali a Napoli e in Calabria (anche a Bologna, ma lì è stato decisivo Massimo Bugani), e ora rischia di trovarsi con un pugno di mosche. Conte non aveva infatti alcun mandato, non essendo nemmeno iscritto al M5s, e con la mossa di Grillo ora anche quegli accordi scricchiolano e non hanno fondamento politico certo. Vero che su Napoli c’è anche la firma di Luigi Di Maio, che però ha seguito Conte pensandolo come il nuovo leader e non ha voluto ostacolarlo davvero. Ma c’è un altro terremoto alle porte, perché liquidando Conte ora Grillo ha messo in moto la procedura per la nomina di un nuovo direttorio come ai vecchi tempi, che è una soluzione certo organizzativa ma non politica. Ed è invece di spazio e azione che ha bisogno il fondatore del movimento per fare digerire a militanti ed eletti questa clamorosa rottura che non andrà giù a gran parte di loro con un semplice alka-seltzer. E lo spazio non c’è finché sono tutti murati all’interno della maggioranza di unità nazionale che accompagna il governo Draghi”.

“Dovessi fare una scommessa oggi – continua Bechis – punterei le mie fiches su un Papeete bis di inizio agosto, questa volta con Grillo a preparare il mojito: per assorbire il contraccolpo di questa rottura e ridare una rotta al suo movimento, è probabile che dopo il divorzio da Conte sia necessario aggiungere quello da Draghi. Una mossa che in un momento sicuramente delicato per il M5s ricompatterebbe le sue varie anime e anche buona parte dei sostenitori, chiudendo la lunga parentesi governista. Ne soffrirebbe sicuramente qualcuno (di sicuro Luigi Di Maio), ma si riaprirebbero le porte per Alessandro Di Battista e per tutti i parlamentari (fra cui Nicola Morra e Barbara Lezzi) che si sono messi fuori non votando la fiducia all’esecutivo Draghi. Non lasciare sola Giorgia Meloni all’opposizione potrebbe dare anche qualche vantaggio nei sondaggi, in attesa delle mosse di Conte, ma soprattutto farebbe riaffiorare le radici anti-sistema del movimento, che nessuno solo qualche tempo fa avrebbe mai immaginato sorreggere un esecutivo guidato da uno con la storia di Draghi. Senza i grillini il governo andrebbe avanti lo stesso – e in ogni caso – la rottura avverrebbe dopo il 3 agosto, durante il semestre bianco che impedisce elezioni. Sulla carta potrebbe contare su almeno 384 voti alla Camera e su 191 al Senato, numeri di cui non hanno potuto godere i governi degli ultimi dieci anni, e quindi la navigazione non sarebbe a rischio. Ma in entrambe le Camere l’azionista di maggioranza sarebbe il centrodestra di governo, che ne avrebbe circa due terzi e quindi sarebbe in grado di imporre a Draghi l’agenda politica”.

Fonte foto (Ansa e Il Fatto Quotidiano)

E’ un quadro che conferma il trend in discesa della Lega, malgrado il partito di Salvini sia ancorato al primo posto ma tallonato dal Pd e da Fdi. Questo ci dice il sondaggio Ipsos di Nando Pagnoncelli, commissionato per il Corriere.it.

I numeri. La Lega con il 20,1% precede il Pd (19,7%) e FdI (19,4%). Il partito di Salvini è stimato in calo di oltre 2 punti rispetto a maggio e tocca il punto più basso dall’inizio della legislatura, ma effettua il controsorpasso sul Pd rispetto al sondaggio di due settimane fa, con buona pace di coloro che avevano gridato allo scandalo. A seguire si collocano il M5S (16,5%) e FI (7,9%). Nelle retrovie le variazioni risultano di pochi decimali e l’area del non voto e dell’indecisione si mantiene al di sopra del 40%. I tre partiti di centrodestra nell’insieme mantengono un consistente vantaggio sul centrosinistra (47,4% a 31,2%) nonché sull’ex maggioranza giallorossa (con l’esclusione di Italia viva) che si attesterebbe al 39,9%.

Gradimento politici. Il primo posto spetta a Giuseppe Conte (indice 49, in calo di 2 punti) che precede Giorgia Meloni (40, in aumento di 3) e Roberto Speranza (stabile a 38). Il progressivo avvicinamento dell’ex premier alla guida del M5S determina l’effetto contrapposto di una flessione del suo apprezzamento personale (dal profilo istituzionale assume quello di capo di una forza politica) e del contemporaneo un aumento del consenso per il M5S. Indubbiamente le tensione tra Grillo e Conte di questi giorni, potrebbero avere riflessi sulla popolarità di entrambi. Giorgia Meloni beneficia della scelta di fare un’opposizione non aggressiva ma dialogante, basti pensare al recente cordiale incontro con il presidente Draghi. Speranza viene apprezzato più in qualità di ministro della Salute che di leader di Art.1.

Nel sondaggio è stato rilevato anche il gradimento dei cosiddetti ministri “politici”, conosciuti da almeno la metà degli italianiFranceschini (indice 32) e Giorgetti (31) risultano i più apprezzati. Infine, le valutazioni sull’esecutivo e il premier che fanno segnare valori ancor più elevati rispetto a quelli registrati all’insediamento, quando solitamente si ottiene il consenso maggiore: oggi l’indice di gradimento dell’operato del governo si attesta a 69 e quello del presidente Draghi sale a 71, entrambi in crescita di 5 rispetto a maggio. Oltre a un clima sociale più positivo, a seguito del procedere della campagna vaccinale e della riapertura della maggior parte delle attività, vale la pena sottolineare due aspetti che determinano la crescita del consenso: il primo riguarda il riconoscimento internazionale dell’autorevolezza del premier che si riverbera sull’immagine del nostro Paese; il secondo fa riferimento allo stile comunicativo del presidente Draghi: è uno stile essenziale, asciutto ma autorevole, molto chiaro e diretto anche su temi che non riguardano direttamente l’attività del governo, come è avvenuto in settimana con l’intervento in Senato sul disegno di legge Zan in risposta a quanto chiesto dal Vaticano.

Un sondaggio che fotografa l’effetto boomerang del muro contro muro tra Salvini e Di Maio con particolare riferimento al caso Siri. Le due forze di governo, Lega e Movimento 5 Stelle, sembrano essere penalizzate nel gradimento degli italiani.

Ciò malgrado l’analisi dell’istituto Ipsos per il Corriere della Sera, rimane positiva la valutazione sul governo di un italiano su due, mentre è negativa nel caso del 39% degli intervistati. Positivo anche il giudizio sul presidente del Consiglio, Giuseppe Conte: il 53% degli italiani lo apprezza, contro il 37% di pareri negativi. Ovviamente il gradimento è più elevato tra gli elettori di Lega e Movimento 5 Stelle. Allo stesso tempo, scende il gradimento di Salvini e Di Maio: il leader della Lega è al 48%, quello del Movimento 5 Stelle solo al 32%.

Il premier Giuseppe Conte

L’Istituto demoscopico analizza poi il consenso dei leader attraverso un indice di gradimento e confrontando il dato odierno con quello di fine marzo, sottolineando un calo generalizzato nei principali esponenti dell’esecutivo. Perde un punto Conte, passando al 59%. Scende, in generale, anche il governo, al 56% (2 punti in meno). Calo più netto per Salvini (quattro punti in meno e 55%) e ancor di più per Di Maio, che perde sette punti e scende al 37%. La decisione di quest’ultimo di opporsi sempre più spesso alla Lega non paga a livello personale ma sta comportando una ripresa nelle intenzioni di voto per il Movimento 5 Stelle.

Il sondaggio di Ipsos prende in considerazione anche il giudizio degli italiani sul caso Siri: il 62% degli intervistati ritiene molto o abbastanza gravi le accuse nei confronti del sottosegretario leghista indagato per corruzione. Un parere trasversale a tutti i partiti, compresa la Lega (anche se, ovviamente, in misura minore). Il 71%, inoltre, ritiene che Siri dovrebbe dimettersi. E anche nella Lega i favorevoli sono il 41%, mentre i contrari il 42%. Secondo il 44% del campione, comunque, questa vicenda mette in discussione la credibilità della Lega nella lotta alla corruzione. Per quanto riguarda le tensioni nel governo, il 44% degli elettori ritiene che questa dipenda dalle prossime elezioni europee e che dopo il voto scomparirà. Il 35%, invece, sostiene che questi scontri comprometteranno la tenuta dell’alleanza di governo e tra i più pessimisti ci sono proprio gli elettori leghisti.

Una situazione, dunque, che secondo Ipsos, si scioglierà come neve al sole dopo le elezioni europee di maggio anche se l’idillio, se mai c’è stato tra Salvini e Di Maio, sembra essere ormai un lontano ricordo. E la “vendetta politica” del segretario della Lega, chissà, potrebbe essere servita come piatto freddo.

C’è un video che circola in rete che sta facendo discutere. Si vede il premiere Conte in visita al G7 ignorato dai suoi colleghi Capi di Stato. Sembra proprio che non lo degnino, nemmeno di striscio.

Il filmato, certamente, non rispecchierà la realtà dell’esito del summit a cui Conte ha offerto il suo contributo. E comunque una iniziale titubanza è spiegabile con l’inesperienza del professore per eventi di questo genere. Fatto sta che il popolo grillino è balzato su come una furia contro chi ha mostrato queste immagini che tenderebbero a screditare apposta il Presidente del Consiglio.

Una ricostruzione, ovviamente, fantasiosa. Semmai è vero il contrario e cioè che gli altri leader del G7 sembrano snobbare quello italiano, forse portatore di novità troppo dirompenti per gli altri Paesi. Insomma se c’è una responsabilità va attribuita a Merkel e compagni che si tengono alla larga dal Presidente del Consiglio. Conte bisogna lasciarlo lavorare in pace, magari senza che gli altri colleghi cerchino di mettergli il bastone tra le ruote. Ma, allo stesso tempo, anche gli elettori e i simpatizzanti del nuovo Governo devono stare calmi. L’Italia è ancora un paese democratico, dove si può esprimere la propria opinione, fare onestamente il proprio lavoro, e anche mostrare un video dove oggettivanmente le immagini parlano da sole. Poi ognuno commenta, nei limiti dell’educazione. Non siamo al tifo da stadio, né alle gogne via social. Forse…

Come inizio non c’è male. Il Governo targato Conte fa il suo esordio con una sonora sconfitta, come si direbbe in gergo calcistico. Una debacle su tutta la linea, da far impallidire perfino chi lo sostiene.

La fiducia alla Camera dei Deputati è stata ottenuta ma è una sequenza di gaffe, equivoci e cadute di stile da retrocessione diretta, per restare in ambito sportivo. A metà tra Totò e Mr Bean, il primo scivolone di Conte è su il discorso da pronunciare. Il premier, che si è autodefinito “avvocato del popolo”, è stato beccato in un fuorionda: “Questo lo posso dire?”, ha chiesto a Di Maio, in un segnale inequivocabile della sua grande autonomia decisionale.

“No”, è stata la risposta secca del capo del M5S che, a sua volta, ha fatto capire al povero Conte chi comanda veramente. Non proprio una bella figura, per la verità. Ma la dose, se possibile, è stata rincarata subito dopo quando il professore dal curriculum misterioso perde gli appunti e va nel panico. Tutto a posto, ci pensa Di Maio: “Li trovo io, tu comincia a parlare”, spinge il bottone il ministro del Lavoro al neo Presidente del Consiglio.

Terza battuta a vuoto sulla mafia e sul presidente della Repubblica: “Una delle cose che più mi ha addolorato nei giorni scorsi è stato l’attacco alla memoria di un congiunto del presidente Mattarella sui social e veramente mi è dispiaciuto”. Belle parole nei riguardi del Capo dello Stato, peccato che Conte si non si ricordava che il fratello in questione si chiamava Piersanti, era un ex presidente della Regione Siciliana ed è stato ucciso dai killer di Cosa Nostra.

Semplice sbadataggione? Non proprio visto le polemiche che si sono scatenate. “È Piersanti, si chiamava Piersanti”, ha urlato – insolitamente alterato – il capogruppo del Pd alla Camera, Graziano Delrio verso il Presidente del Consiglio,. Un consiglio a Conte: quando è in difficoltà basta cercare su Google per ricostruire vicende che magari non si conoscono. Chiusura con due annotazioni. La prima di carattere giornalistico: non siamo contro il nuovo Governo ma, oggettivamente, questa volta Conte (e Di Maio) hanno toppato clamorosamente. 

La seconda è, invece, di carattere prettamente politico. Ma Salvini dov’era? Siamo sicuri che il suo silenzio non sia tattico? Della serie…li lascio sbagliare tanto poi ci penso io. Insomma il numero uno della Lega lavora in silenzio e, sotto sotto, aspetta il suo momento. Se continua così l’attesa non durerà a lungo.

Dai banchi del Pd è Davide Faraone ad alzare la voce. Prepara anche un foglio, un minicartello che vorrebbe esporre, sul quale c’è scritto: “Cetto La Qualunque”. Una critica esplicita al premier ConteLaura Bottici, senatrice del M5S e questore del Senato, gli si avvicina e lo fa rientrare nei ranghi. Di piu’: lo avrebbe filmato, intimandogli di ritirare il cartello. Faraone abbozza. Qualche banco più in basso ci sono Marcucci e Simona Malpezzi che scalpitano. Bottici va a parlare anche con loro. Matteo Renzi, invece, segue il discorso di Conte in silenzio, ogni tanto frena anche i rumori di protesta che vengono dai banchi del suo partito.

Andrea Marcucci (Pd) affronta la senatrice Laura Bottici del M5S a brutto muso: E quando eravate voi a esporre i cartelli?”, ricorda il capogruppo dem. Quando la seduta finisce, mentre i senatori defluiscono e in tanti della maggioranza si avvicinano a Conte per stringergli la mano, Marcucci parte spedito verso i banchi del governo. Si rivolge, visibilmente arrabbiato, ai grillini Riccardo Fraccaro e Giulia Grillo. I tre però non si intendono. Marcucci è furibondo e continua a inveire rivolto ai pentastellati. Qui inizia, a distanza, lo scambio di battute con Saverio De Bonis (cinquestelle) che si conclude con Marcucci che esplode: “Che fai mi minacci? Ma vattene a fan…”. La tenzone si chiude con le scuse reciproche.

(fonte agenzia Dire)

Dura appena quattro giorni l’incarico che il capo dello Stato ha affidato a Giuseppe Conte per la formazione di un governo M5s-Lega. Oggi pomeriggio il professore ha deciso che era impossibile formare il Governo.

Nel pomeriggio c’erano stati due lunghi colloqui al Colle per i leader di M5S e Lega, Luigi Di Maio e Matteo Salvini, che hanno hanno preceduto l’arrivo del premier incaricato. Di Maio e Salvini hanno visto il presidente Sergio Mattarella per cercare di sbloccare in extremis l’impasse sul governo giallo-verde, e in particolare sulla presenza alla guida del ministero del Tesoro di Paolo Savona.

“Abbiamo dimostrato buon senso, generosità, responsabilità. Abbiamo rinunciato al presidente della Camera, al presidente del Senato, alla presidenza del Consiglio. Abbiamo finito di rinunciare. Quello che dovevamo fare, l’abbiamo fatto”, ha detto Matteo Salvini.

“La scelta di Mattarella è incomprensibile”, ha attaccato Di Maio, “la verità è che non vogliono il M5s al governo, sono molto arrabbiato ma non finisce qui. Avevamo espresso Conte come presidente del consiglio, avevamo una squadra di ministri, eravamo pronti a governare e ci è stato detto no perché il problema è che le agenzie di rating in tutta Europa erano preoccupate per un uomo che andava a fare il ministro dell’Economia. Allora diciamocelo chiaramente che è inutile che andiamo a votare tanto i governi li decidono le agenzie di rating, le lobby finanziare e bancarie, sempre gli stessi”.

Durissima la risposta del Capo dello Stato: “Ho agevolato il tentativo di dar vita a governo, ho atteso i tempi per farlo approvare dalle basi militanti. Io devo firmare i decreti per le nomine dei ministri assumendone la responsabilità istituzionale, in questo caso il presidente della Repubblica svolge un ruolo di garanzia che non ha subito né può subire imposizione. L’incertezza della nostra posizione nell’Euro ha posto in allarme investitori italiani e stranieri che hanno investito in titoli e aziende. L’aumento dello spread aumenta debito e riduce la possibilità di spese in campo sociale. Questo brucia risorse e risparmi delle aziende e prefigura rischi per le famiglie e cittadini italiani”.

Mattarella spiegato che la decisione di non accettare il ministro dell’Economia “non l’ho presa a cuor leggero” aggiunfo che “non può sostenere la proposta di un ministro sostenitore della fuoriuscita dell’Euro. L’incertezza sulla nostra posizione ha posto in allarme investitori e risparmiatori italiani e stranieri che hanno investito nei nostri titoli di Stato e nelle nostre aziende. L’impennata dello spread riduce le risorse dello Stato, occorre fare attenzione al pericolo dell’aumento degli interessi per i mutui e per i finanziamenti alle aziende. È mio dovere essere attento alla tutela dei risparmi degli italiani, in questo modo si riafferma concretamente la sovranità italiana”.

Spiegando che “l’adesione all’euro è una scelta fondamentale, se si vuole discuterne si deve farlo in modo approfondito”. Cosa farà dunque il Presidente? “Sono stato informato di richieste di alcune forze politiche di andare a elezioni ravvicinate. E’ una decisione che mi riservo di prendere dopo aver valutato quanto accadrà in Parlamento”. E il Presidente ha assicurato che nelle prossime ore assumerà “l’iniziativa”. E domani mattina, al Quirinale, il Capo dello Stato ha convocato l’economista Carlo Cottarelli probabilmente per una nuova e clamorosa designazione.

Continua l’attacco concentrico nei confronti di Giuseppe Conte, il premier incaricato, voluto da Lega e Cinquestelle, che si trova in mezzo ad un guado, colpito ripetutamente come in un tiro a bersaglio. Adesso è la prestigiosa testata americana, New York Times, che lo attacca pesantemente.

 “Sconosciuto professore di legge, la cui principale qualifica è la sua disponibilità ad eseguire gli ordini dei leader di Lega e M5S”, si legge nell’articolo del quotidiano statunitense, come riportato oggi da “Il Giornale”, edito dalla famiglia Berlusconi.

E non è altrettanto “tenero” sulla maggioranza formata dai due partiti vincitori delle elezioni, quello di Salvini e di Di Maio: “Non è chiaro quanti danni potrà fare la coalizione ma è un duro colpo ai progetti di rafforzamento dell’integrazione europea portati avanti da Merkel e Macron”.

E continua scrivendo che se “se l’Italia, la quarta economia dell’Ue, inizia a sfidare le regole dell’Unione e chiede di rinegoziare i termini della sua adesione, sarà più difficile tenere gli altri membri in riga”.

Poi arriva una sorta di profezia sul futuro del governo Conte: “È troppo presto perché Bannon e i suoi alleati possano celebrare o i campioni dell’Unione si facciano prendere dal panico. Il fascino dei populisti potrebbe presto svanire se non troveranno soluzioni concrete al risentimento che li ha portati al potere”.  Infine il Nyt lancia un appello a Macron e Merkel perché tengano unita l‘Unione Europea e ben saldi i suoi valori. Insomma dopo i tedeschi, arrivano “lezioni” anche dagli Usa.

Ma nelle ultime ore sembra proprio che sia anche in bilico lo stesso Conte. Una manovra di Salvini per andare alle elezioni, vincere e fare il il premier con la coalizione di centrodestra. Un’opzione che piacerebbe a Berlusconi, che potrebbe ricandidarsi sebbene in una condizione politica ridimensionata, ma lontano dal “pericolo grillino” al governo, soprattutto per le sue aziende. E al “povero” professore di legge che aveva “odorato” il profumo del potere non resterebbe che ritornare a fare l’avvocato. Lui usato come agnello sacrificale e con  gli unici perdenti, se lo scenario sarà questo, che saranno inevitabilmente i cinquestelle.

Oggi il premier designato, Giuseppe Conte, non andrà da Mattarella e se ci andrà, sicuramente non per portare la lista dei ministri. Sembra proprio che la “quadra” sul governo sia ancora in alto mare. Oltre al nodo Savona al Tesoro, che di fatto sta creando una vera e propria incrinatura nei rapporti con il Quirinale, Salvini e Di Maio sono alle prese con le altre deleghe. Almeno otto i dicastri sui quali non si è raggiunto l’accordo, anche se lo stesso Conte ha gettato acqua sul fuoco. Ma a decidere, ovviamente, non è lui.

E in tutto questo giunge puntuale la “tempesta perfetta” da Piazza Affari. Oggi pomeriggio nella piazza milanese a  soffrire sono stati i titoli i bancari, con un serie di sospensioni e perdite pesanti che riguardano il Banco Bpm, Fineco e Mps. Per non parlare dello spread che, mentre scriviamo, sarebbe giunto alla soglia dei 217 punti. Quindi mercati ballerini che risentono dello stallo della formazione del governo.

Si era detto che Conte tra martedì e mercoledì sarebbe potuto andare alle Camere per chiedere la fiducia. Ma sembra proprio che i tempi siano destinati ad allungarsi notevolmente e, questo, potrebbe essere un elemento ancora più destabilizzante quando la borsa riaprirà battenti lunedì prossimo.

Infine, nei corridoi di Montecitorio, come riportato, oggi, dall’Huffinghton Post alla domanda rivolta a esponenti leghisti e pentastellati, “quanto durerete”, la risposta è stata sempre la stessa: se le cose si mettessero male e il governo fosse costretto all’immobilità dalle circostanze o dalle ostilità, il momento di fermare tutto e tornare al voto sarebbe proprio l’indomani del voto europeo”.

Uno scenario non poco ortodosso che fa anche immaginare un accordo “segreto” tra le due forze politiche (LegaCinquestelle) che hanno vinto le elezioni, con la speranza di giocarsi la carta, in chiave elettorale, per battere “banco”, gridando al complotto, e ritornare alle elezioni, secondo loro, per “stravincere”.

Una sorta di “contratto a tempo determinato”, come lo definisce il giornale dell’Annunziata, che secondo noi, invece, sarebbe già stato firmato a “margine” di quello ufficiale e doverosamente messo sotto chiave.

Aggiornamento ore 22.00

E un’ora fa Matteo Salvini, ha postato un messaggio su FB:  “Sono davvero arrabbiato” e sul quale c’è anche il “mi piace” di Luigi Di Maio. La reazione di Salvini allo stallo sul nome di Paolo Savona, che vorrebbe ministro del Tesoro. Adesso il rischio che il governo possa cadere, prima di nascere, è reale.

“Sarà bene ricordare, adesso che Mattarella ha dato l’incarico a Conte, che le pesanti sgrammaticature lette in questi giorni sul ruolo del capo dello stato sono indice di profonda ignoranza istituzionale, prima ancora che pesanti gaffe politiche, potenzialmente molto controproducenti”. Enrico Mentana, con un post sulla sua pagina facebook, interviene questa mattina, sulla situazione politica all’indomani dell’incarico di Mattarella all’avvocato Giuseppe Conte, e in particolare attaccando il grillino, Alessandro Di Battista, che ieri aveva “bacchettato” il Capo dello Stato.

“Lo so che è molto più facile scrivere ‘viva il cambiamento’, è il sentimento che ha sempre chi subentra, con le sue speranze e il suo entusiasmo – scrive Mentana nella parte finale del post. – Ma le istituzioni sono come le case, le mura perimetrali non cambiano col cambio degli inquilini. E il post di ieri di Alessandro Di Battista mi ha ricordato, quasi alla lettera, dichiarazioni e articoli dei nuovi di 24 anni fa contro il capo dello stato. Andate a vedere…”

Di Battista, come si può leggere su FB, si era rivolto a Mattarella con toni poco ortodossi, parlando addirittura di un Capo dello Stato “intimorito e avvocato difensore di chi si oppone al cambiamento”.

“Un governo capace soprattutto di ristabilire un principio sacrosanto in democrazia: il primato della politica sulla finanza. Mi rendo conto – afferma Di Battista – che ristabilire questo principio possa far paura a qualcuno ma non dovrebbe intimorire chi ha l’onore di rappresentare l’unità nazionale. Il Presidente della Repubblica non è un notaio delle forze politiche ma neppure l’avvocato difensore di chi si oppone al cambiamento. Anche perché si tratterebbe di una causa persa, meglio non difenderla”.

Uno scontro che, sicuramente, è un piccolo assaggio di ciò che sarà il neo governo Lega-M5S. E con un sguardo sui mercati internazionali e la Ue che per adesso tacciono e attendono. Pe non parlare dell’avvocato Conte che nel suo ruolo di “tecnico”, perchè questo è,  dovrà muoversi su un terreno minato, ma soprattutto in un ambito nel quale la sua contrattualità è pari allo zero. Non dimenticando che, in tutto questo, Mattarella siamo sicuri rimarrà arbitro attento, ma anche guardalinee. Mi sarebbe piaciuto, invece, immaginare di vedere Cossiga o Scalfaro in quel ruolo. E la storia scritta sarebbe stata sicuramente un’altra.