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Le passerelle non mi sono mai piaciute. Tanto per essere chiari quelle che i politici sono soliti usare per costruirsi l’alibi perfetto. Un modo per pulirsi la coscienza, quando la presenza diventa soltanto la cartina di tornasole del problema. E nell’alchimia dei loro gesti c’è il peggio del peggio. E’ come rispolverare il vecchio stereotipo dell’eredità precedente.

Quel modello che si applica, con preciso e puntuale rigore, sempre all’indomani di una vittoria elettorale. Si rievoca il disastro creato dalle precedenti gestioni e il gioco è fatto. Come un’equazione matematica che non ha colore politico ma un risultato non opinabile, perchè fatta soltanto di numeri da comporre. Lo ha fatto Crocetta prima, Musumeci dopo e come in un rilancio da poker sia Cammarata che Orlando e non solo loro. Uno sport per il quale non si hanno rivali. E se si potesse trovare un modo per candidarli sarebbero tutti da premio Nobel.

Intanto gli “ultimi” rimangono sempre là, sospesi in un limbo. In quel precipizio fatto da false promesse, da costruzioni senza fondamenta. E in quei palazzi di carta ci si accorge solo del problema quando è troppo evidente che il problema stesso è percepibile a tutti. In quell’istante gli “esclusi” diventano preda e la “solidarietà” diventa per loro un obbligo morale. Perchè immaginare una politica a servizio di chi soffre è la “tempesta perfetta”. Quella che non vorresti mai vedere davanti ai tuoi occhi, ma che all’improvviso ti colpisce come un’onda anomala. E la protesta di Biagio Conte, che da giorni dorme sotto i portici del palazzo delle Poste di via Roma, ne è testimonianza.

Il “primato della politica” allora viene sotterrato come un’ascia da guerra. Si continua a renderlo inerme, a indebolirlo. E le passerelle, invece, sembrano essere perfette con tutta la loro ipocrisia. Nessuno potrebbe obiettare quell’atto nobile, quel contributo ideale, quella vicinanza. Momenti che poi si perdono nell’oblio. E gli “ultimi” rimangono sempre “ultimi”, non perchè lo vogliano, ma perchè uomini che vivono la loro dignità fino in fondo. Ma domani tutto continuerà con lo stesso ritmo e con gli stessi proclami, in una terra che definire “irredimibile” non significa essere qualunquisti, ma guardare quell’orizzonte che sembra inarrivabile.

“Quello che doveva  essere l’IRSAP e cioè favorire lo sviluppo delle aree industriali sul territorio regionale, si è dimostrato inefficace nella messa in atto di politiche concrete a sostegno delle aziende, diventando, invece, il solito poltronificio e dando soltanto stipendi di tutto riguardo ad una classe dirigenziale inerte e disattenta alle necessità degli imprenditori”. A parlare è Giancarlo Cancelleri, leader dei pentastellati in Sicilia e già candidato alla poltrona di governatore, che dal suo blog lancia la proposta della messa in liquidazione dell’IRSAP.

“La nostra proposta è quella di procedere alla liquidazione dell’IRSAP e al trasferimento delle competenze dell’Istituto all’assessorato alle Attività produttive – scrive ancora Cancelleri – al fine di ridurre i costi di gestione e, soprattutto, realizzare un organo di reale promozione e sviluppo delle attività produttive e l’attrazione di investimenti esterni”.

E continua parlando della “necessità di nominare dei commissari liquidatori degli 11 ex consorzi ASI che possano definire tutte le liquidazioni, le controversie con i dipendenti già posti in quiescenza. E collocare il personale attualmente in servizio presso l’IRSAP in un ruolo ad esaurimento presso la Regione, da adibire alle operazioni di liquidazione, alla gestione delle aree industriali presso i Comuni competenti territorialmente o alla mobilità presso gli uffici centrali e periferici dell’Amministrazione regionale”.

Un vero e proprio smantellamento dell’IRSAP, quindi, che nei mesi scorsi è già stato oggetto di dure polemiche sindacali, con uno stato di agitazione dei dipendenti, legato ai vecchi consorzi ASI, messi in liquidazione. E se prima era Crocetta a dover trovare una soluzione al problema, adesso la palla passa Musumeci e mandarla in rete per lui non sarà certamente facile.

 

Saro di Gela non molla la presa e continua nel tentativo disperato di resistere con ogni mezzo. Si sente accerchiato nella trincea di Palazzo D’Orleans. Vuole una resa onorevole, che in termini pratici si traduce in un posto al sole. Una sorta di esilio dorato per avere, in questi anni, portato la “croce” in una terra dove i dati, al di là della pura propaganda parlano chiaro. E enunciarli è anche un’offesa per tutti i siciliani. Basta guardarsi intorno per vedere come il de profundis del tessuto economico e sociale sia ormai inarrestabile. In fondo Crocetta mi ricorda molto Hiroo Onoda, il militare giapponese che dopo quasi 30 anni (era il 1974) dalla fine del secondo conflitto mondiale, venne recuperato nella giungla dell’isola di Lugang, convinto che la guerra non fosse mai finita.

E proprio, oggi, l’esternazione dell’uomo dei miracoli su Rainews24 riportata dal Corriere della Sera, in cui le manda a dire ai vertici del partito democratico.  “Lo statuto del Pd dice che un Presidente della Regione ha il diritto di candidarsi per un secondo mandato. Mi pare che scegliere di andare a primarie per definire il candidato è dunque una grande proposta di unità che io faccio al centrosinistra. Ma se non si faranno le primarie io non potrò non ricandidarmi. Lo devo alla mia storia, al rapporto che ho con i siciliani, al progetto di trasparenza che abbiamo portato avanti in questi anni, al lavoro fatto per evitare alla Sicilia il default. Hanno provato a mandarmi via più volte, con reiterate sfiducia, anche con intercettazioni false smentite da tutte le Procure siciliane. Se non ci saranno le primarie mi ricandido e a quel punto nessuno potrà dire che ho mancato di senso di responsabilità”.

Quindi al Pd basterà solo fare le primarie e trovare, attraverso l’ufficio di collocamento del partito, un collegio sicuro alle prossime nazionali del 2018 (se ci saranno i collegi). Niente di più semplice. Il problema è uno solo e forse anche un po’ complicato: individuare chi si immola per il post Crocetta. Ma in questo gli uomini del Pd sono sicuramente da premio Nobel.

Che la Sicilia sia ormai un malato terminale è forse fin troppo ripetitivo. Lo abbiamo più volte denunciato, analizzato, gridato con forza ma l’irresponsabilità di una politica cieca, che spera soltanto di arrivare indenne alla fine della corsa, (mandato elettorale per intenderci!) ci ha resi tutti inesorabilmente sfiduciati e forse anche indifferenti. Il rito dell’espianto, forse l’unica cura possibile.

Da una parte vi è il fallimento personale del “rivoluzionario” Saro da Gela, che è riuscito nell’abile impresa di farsi “commissariare” da Renzi evitando la resa delle armi, che forse sarebbe stata la soluzione più onorevole (vince invece sempre la tasca e non il cuore), ma sicuramente da futura lista di disoccupazione! o in extremis da lista “italicum”; dall’altra, invece, il mero calcolo politico del Pd, dei suoi deputati e dell’intero centrodestra (quest’ultimi giocano da sempre la carta della mozione di sfiducia, ma ormai come un’arma spuntata!), che non potevano in alcun modo trovarsi senza paracadute.

E non parlatemi di scelta “responsabile” per le sorti della Sicilia. Non ci crede più nessuno. Meglio tacere. Quindi far passare “l’elefante Regione” attraverso la cruna dell’ago, con una finanziaria azzoppata (mancano appena 500 milioni di euro all’appello) e l’accordo o pseudo tale sulla cancellazione dei crediti che la nostra regione avanza dallo Stato, è stata impresa davvero opera titanica, ma tutto ancora in divenire.

E così, lui che doveva essere l’uomo dei miracoli, (l’assessore al Bilancio Baccei tanto per intenderci) dopo l’uomo della rivoluzione, si è accorto che il salvataggio dell’Impresa Palazzo d’Orleans era e rimane tanto difficile, da essere costretto a lanciare un’OPA, guarda caso proprio di 500 milioni di euro. Tentativo estremo per riannodare i fili del discorso con Roma e farsi dare la moneta! I conti devono quadrare, come si dice in matematica: comuni in dissesto, ex province al collasso, forestali e consorzi senza ossigeno. Insomma, un quadro che si fa sempre più nebuloso e pericolosamente instabile, finanziariamente parlando.

Chissà, a questo punto forse saranno i “libri” interstellari del 2.200 a studiarne gli effetti e i “jedi siculiani” di quell’Era, invece, a pagarne, con molta probabilità, le conseguenze per chissà quanti “millenni”.

Viviamo, dunque, in una realtà che ricorda molto la “Corte dei miracoli”, quella della Parigi del 1600, dove in alcuni quartieri borderline, uomini, donne e bambini da storpi e mendicanti chiedevano di giorno l’elemosina per poi improvvisamente la sera, quasi da “miracolati”, ritornare ad essere prodigiosamente guariti. Ma qui di miracolati veri vediamo solo coloro che si sono assicurati i vitalizi e altri privilegi. Per i siciliani, tutto al più, resta l’elemosina che vi ricordo nella nostra legislazione ravvede anche alcuni casi di reato. Per dirla pragmaticamente: “cornuti e mazziati”.