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In Italia senza governo si vive da Dio. Il pil che sale e la borsa che vola. Non è un sogno ad occhi aperti, ma la realtà. Mentre il Quirinale e i partiti si prendono in giro da due mesi, il nostro Paese segue il trend europeo del vuoto di potere. Come il Belgio che, tra il 2010 e il 2011, rimase per 544 giorni senza governo e la crescita c’è stata lo stesso. Come la Spagna, che senza esecutivo per un anno, tra il 2015 e il 2016, ha portato un 3,2 per cento in più di Pil e 550 mila posti di lavoro. E ancora meglio la Germania che, pur senza governo tra settembre e marzo, secondo la Bundesbank è in una fase di boom economico.

E il Presidente di Mediolanum Ennio Doris dice: “Anche se in Italia non ci fosse un governo per un anno, cambierebbe poco. Gran parte della sovranità l’abbiamo già persa. Non è la Banca d’Italia che fa la politica monetaria. A farla, invece, è la BCE in tutta l’Europa”. Come dire che in Italia il governo è meglio non farlo.

 

“I giornali di oggi dicono che lunedì lascerò Berlusconi? Capisco perché vendano sempre di meno. Non è vero che accadrà, non vedo perché dovrei cambiare idea ogni quarto d’ora: non faccio come Renzi o Di Maio”. A dirlo è Matteo Salvini, leader della Lega che smentisce categoricamente l’ipotesi di lasciare per strada Berlusconi, dando per morto qualsiasi accordo tra M5S e Pd.

“Mi presento alle elezioni con una squadra e vado avanti con quella squadra – aggiunge Salvini -. Lasciare Berlusconi non è l’unica strada per fare il governo: non cedo a veti, controveti e capricci. Il centrodestra ha vinto con un programma comune e siamo ben disponibili a dialogare con i secondi arrivati ma non con i terzi”.

 

“Se Mattarella regala agli italiani una settimana di telenovela su Renzi e Di Maio non so cosa possono scrivere i giornali per una settimana. E così riempiono le pagine con ipotesi non vere che ci riguardano”. Quindi la situazione politica è ancora in fase di stallo, malgrado siano state annunciate “aperture” a vario titolo, rispetto al mandato esplorativo di Fico. E a questo punto non resta che aspettare Mattarella…

E’ un fiume in piena, inarrestabile, quello che da oggi sta “inondando” la bacheca facebook di Luigi Di Maio. La base grillina in rivolta contro il suo pupillo e su twitter i militanti del Pd rilanciano l’hashtag #senzadime

“Onorevole Di Maioscrive Evase il M5S farà accordi col Pd stavolta il tradimento non passerà indenne, verremo tutti a Roma e vi sbatteremo fuori tutti, sul serio, voi compresi. Traditori”. “Al bar stamattina invece del caffè chiedevano le scatolette di tonno. Impostori”, le fa eco Alessandra. “Prima insulti il Pd per il suo mal governo e adesso inciuci solo per la poltrona”, punta il dito Simone.

E sono innumerevoli i commenti di chi giura di non votare mai più il Movimento: “Per quanto mi riguarda, mai con il Pd scrive Cosimo i suoi massimi dirigenti hanno sempre inciuciato con Berlusconi. Spero si tratti solo di tatticismo per convincere Salvini, se questo non fosse possibile meglio andare al voto oppure all’opposizione”.

“Stiamo tradendo il risultato elettorale denuncia Andrej -. Stiamo inciuciando con il Pd! Il M5S sta morendo. Svegliatevi e ribellatevi elettori con due stelle sugli occhi”.

“Ha ragione Salviniscrive un altro attivista pentitogratti grillino e trovi piddino. Vergogna”. E sono diversi i commenti che guardano con favore al Carroccio, annunciando un cambio di casacca in cabina elettorale. Qualcuno va giù durissimo, dando a Di Maio del “Giuda” e del traditore.
Tra questi Ivan: “Tra poco andrai ad elemosinare voti anche ai kebabbari – attacca – che figura avete fatto. Per quanto io possa odiare Renzi, mi auguro ti umilii fino a farti dire basta con la politica”.

Certo sempre di social si tratta, ma se il consenso “democratico” della rete è per i cinquestelle l’espressione maxima, da domani potrebbe essere il loro boomerang.

Il secondo giro di consultazione della Casellati si risolverà sicuramente con un nulla di fatto. Il presidente del Senato sa bene che la strada è tutta in salita. Domani andrà a riferire a Mattarella sugli esiti degli incontri avuti con le forze parlamentari e la possibilità di un governo tra il centrodestra e il M5S è pari allo zero.

E come nel gioco degli scacchi, la mossa del cavallo potrebbe essere quella determinante ma celare, al tempo stesso, la trappola che Matteo Renzi muoverebbe contro i cinquestelle. Da sempre l’ex premier ha manifestato la sua netta contrarietà ad un dialogo con i grillini, rei di aver avversato la politica del Pd e, in particolare i provvedimenti che lo stesso Renzi aveva voluto, uno trai tanti quello del job act.  Per non parlare della distanza siderale sul tema del reddito di cittadinanza e dell’abolizione della legge Fornero.

A questo punto la strategia di Renzi, che pressato dall’area di minoranza ad un’apertura nei confronti dei grillini, magari con una discussione in direzione, non potrà che essere quella dei classici bastoni in mezzo alle ruote. Nei fatti la trappola di cui sopra. Alzerà talmente il prezzo, mettendo come primo paletto, quello di un veto insormontabile su Di Maio premier, per poi chiedere un secco no a qualsiasi modifica o cancellazione del suo cavallo di battaglia, il già citato job act. Posizioni sulle quali i cinquestelle saranno messi all’angolo, così come l’area piddina che vuole a tutti costi trovare un’intesa per andare al governo.

E se il fallimento dell’eventuale mandato esplorativo affidato a Fico, che seguirebbe la stessa sorte della Casellati, sarà consumato, a quel punto Mattarella non potrebbe che tracciare la strada per un governo istituzionale. E su questo percorso si possono fare due ipotesi:  un governo con i voti di cinquestelle e di tutto il Pd, che Renzi sarebbe costretto ad accettare, e strutturato su una serie di punti programmatici, ma con margini che sembrano poco realizzabili; o un  governo guidato da Giancarlo Giorgetti, vice di Salvini o da altra figura, che chiederebbe in parlamento i voti di tutti. E che in molti pensano possa essere la soluzione per avere i voti del partito democratico, con la regia di Renzi ed escludere i cinquestelle dalla partita del governo.

In fondo anche oggi, con un tweet, Ettore Rosato è stato chiaro, rispondendo al grillino Toninelli. Un modo per agevolare, paradossalmente, la mossa del cavallo di Renzi e portare avanti il lavoro, chiudendo la partita del governo. E Di Maio scalpita cercando di aprire una crepa nel Pd, nella speranza che il sogno di diventare premier, non rimanga solo un sogno.

 

 

 

Aveva detto: “in caso di vittoria alle nazionali manterremo la legge sulle unioni civili”. Silvio Berlusconi riesce a fare voli pindarici e, come fulminato sulla “via di Damasco”, a virare di 360 gradi e ribaltare ogni suo pensiero.

Oggi, in una dichiarazione che ha fatto saltare dalla seggiola le comunità gay e non solo, Mr. B. ha cambiato idea sul tema delle tante discusse unioni civili. Forse i sondaggi e il voler recuperare voti sull’unico competitor della coalizione di centrodestra e cioè Matteo Salvini, lo hanno “costretto” a smentire se stesso.

Penso che la legge sulle unioni civili sia sbagliata -ha detto ai microfoni di radio Lombardiama abolire una legge non significa tornare alla situazione precedente, non vogliamo togliere diritti a nessuno ma siamo convinti che la famiglia è una cosa diversa, una unione stabile di un uomo e di una donna orientata alla procreazioneNon diamo giudizi morali su nessuno, lo Stato non deve mai entrare nelle scelte di vita personale, ma difendiamo l’unicità della famiglia”.

Quindi la sua posizione si articola nel voler affermare che la famiglia è quella tradizionale. Una bella grana però per il centrosinistra che di questa legge ne aveva fatto un vessillo. Prima tra tutti il presidente della Camera, Laura Boldrini sostenitrice anche delle adozioni alle coppie omosessuali e che poi, in seguito ad una lunga mediazione, aveva dovuto cedere alle stepchild. E anche dura la presa di posizione di Nicki Vendola, “sposato”da poco con il suo compagno Tobia, che si scaglia contro Berlusconi affermando che “non potendo surclassare leghisti e Fratelli d’Italia sul terreno sdrucciolevole della xenofobia, rimette in campo l’antica pulsione omofoba e ammicca all’ideologia della famiglia che non solo c’è se è rigorosamente eterosessuale….”

In fondo, se vogliamo, l’ex Cavaliere di famiglie se ne intende, avendone avute diverse nella sua lunga vita. E quindi può essere considerato il più “deputato” ed esperto in materia.

Ma mettendo da parte l’ilarità e ogni giudizio, l’elemento che salta agli occhi è come, tra antifascismo ad orologeria e l’utilizzo di temi così delicati, anche seppur discutibili, in questa campagna elettorale non si parla dei problemi della gente. Perchè cari candidati o pseudo tali ricordatevi che alle urne gli italiani dovranno andarci o, almeno, speriamo che lo facciano. E il rischio, purtroppo, è quello di vedere uscire dalle schede un solo vincitore: l’astensionismo.

A tre settimane dal voto del 4 marzo dalle urne non uscirebbe una maggioranza. E’ il risultato del sondaggio commissionato da Demopolis, l’Istituto demoscopico diretto da Pietro Vento, che ha intervistato, dal 7 all’8 febbraio 2018, un campione di 1.000 persone. Avevamo scritto di sondaggi a fine gennaio con una stima pubblicata da Ixè . E che vedeva sempre il Movimento cinquestelle come primo partito e il centrodestra, invece, come la coalizione più forte.

Per Demopolis anche il M5S si conferma, con il 28,3%, primo partito, in vantaggio sul Partito Democratico, attestato al 22,8%. Se si votasse oggi per la Camera, Forza Italia avrebbe il 16,3%, la Lega il 14%. Liberi e Uguali al 5,8%; Fratelli d’Italia al 4,7%. Sotto la soglia del 3% resterebbero le altre liste.

“Con le attuali stime di voto – ha detto il direttore di Demopolis, Pietro Vento – anche la coalizione più forte resterebbe per il momento al di sotto della maggioranza assoluta di 316 seggi a Montecitorio”.

Infatti, con la nuova legge elettorale è centrale, per l’assegnazione dei seggi nella quota uninominale, la forza delle coalizioni. Secondo l’analisi dell’Istituto Demopolis, l’area di Centro Destra otterrebbe complessivamente il 37,2%; il Movimento 5 Stelle il 28,3%. La coalizione di Centro Sinistra, costituita dal PD e dagli alleati minori, avrebbe il 27,5. Ma nessuno, dunque, avrebbe la maggioranza.

Si fa strada, dunque, se i sondaggi fossero confermati, ad un’inevitabile “grosse koalition” tra il centrodestra di Mr. B. e il centrosinistra di Renzi. Mattarella dovrebbe soltanto ratificare l’accordo anche se sempre di sondaggi si parla. Non ci resta che aspettare le urne reali e vedere che succede.

Gli ultimi sondaggi commissionati dall’Istituto Ixè, sempre da prendere con le pinze, vedono il centrodestra al 35.4%, il centrosinistra al 25.4%, il Movimento 5 Stelle al 29.2% e Liberi e Uguali di  al 7%. Nei fatti, dunque, nessuno riuscirebbe ad arrivare alla soglia prevista del 40 per cento e, quindi, l’accordo di un governo di “unità nazionale” sarebbe inevitabile.

Per quanto riguarda, invece, l’attribuzione dei seggi, altro elemento rilevante rispetto agli equilibri politici, alla Camera il centrodestra otterrebbe 290 seggi, 16 in meno rispetto alla maggioranza; al M5S ne andrebbero 177, al centrosinistra 130, a Liberi e Uguali 29, e agli altri partiti solo 4. Dei 231 collegi uninominali 146 andrebbero al centrodestra, 58 al Movimento 5 Stelle e 27 al centrosinistra.

Situazione simile al Senato, ma dove il centrodestra arriverebbe a sfiorare la maggioranza assoluta conquistando 152 seggi. Il Movimento 5 Stelle ne otterrebbe 87, il centrosinistra 61, Liberi e uguali 13, e altri partiti 2. In questo caso il centrodestra conquisterebbe 76 dei 115 collegi uninominali; 27 il Movimento 5 stelle, 12 il centrosinistra.

Il sondaggio politico elettorale di Ixè ha poi riguardato i leader politici, mostrando quelli che godono di maggiore fiducia:  Gentiloni è al 33%, Bonino al 30%, Di Maio al 30%, Salvini al 25%, Berlusconi al 24%, Grasso al 22%, Meloni al 22%, Grillo al 22%, Renzi al 21%, Bersani al 19%.

Partiti. Il Movimento 5 Stelle rimane sempre il primo partito in ambito nazionale con il 29.2% dei consensi (+1.4%). A seguire troviamo il Partito Democratico, che perde lo 0.5% in una settimana e si attesta al 21.8%. Cala anche Forza Italia, che fa segnare -0.7% e si porta al 16.7%. All’11.9% (+0.6%) troviamo la Lega, poi Liberi e Uguali al 7% (-0.4%), Fratelli d’Italia al 4.4% (-0.1%), Noi con l’Italia al 2.2% (-0.3%), Più Europa al 2% (+0.1%), Civica Popolare allo 0.9% (-0.3%), Insieme allo 0.7% (-0.1%), altri di centrodestra allo 0.2% e altri partiti al 3% (-0.1%).

Per quanto riguarda la partecipazione al voto, il 59,9 per cento degli intervistati si è detto certo di andare a votare il prossimo 4 marzo, mentre per il 9% non lo farà. Ma il dato preoccupante è la percentuale di indecisi che è risultata superiore al 30%. Una disaffezione degli elettori nei confronti della politica e della partecipazione al voto, che dovrebbe far riflettere i nostri governanti.