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Gaetano Càfici

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Il leader della Lega sa benissimo di giocare su un tavolo verde, dove il bluff è l’unico strumento che gli consente di firmare, al suo popolo, un “assegno in bianco” per la la sua permanenza in questo governo e tentare di arginare le ire di tutti quegli elettori che lo vorrebbero barricadièro  e fautore del liberi tutti. Ma Salvini, oggi, ha una grana ancora più grande: i sondaggi che lentamente sembrerebbero erodere il suo consenso. Nelle ultime settimane ha perso quasi l’1 per cento e se tutto andrà bene la scadenza elettorale del 2023 è quasi una certezza. Quindi un altro problema: niente elezioni all’orizzonte. Staccare la spina adesso? Sicuramente è tentato anche perchè, in questo caso, per Mattarella sarebbe davvero difficile comporre un nuovo governo: strada davvero impercorribile. Per non parlare poi del “fido Giorgetti” che di “strambate” non ne vuole sentire. Fortemente saldo all’interno di un governo guidato dall’amico Draghi.

Dunque, Salvini diventa prigioniero di Salvini. Una spirale da cui non può uscire e in nome della quale brandisce ancora una volta il bluff della dittatura sanitaria. Prima contro Speranza (blindato apertamente dallo stesso Draghi) e poi in risposta al segretario del Pd Enrico Letta, che sulla posizione del coprifuoco alle 22, osteggiata dallo stesso Salvini che aveva firmato in tal senso una petizione, gli aveva dato un aut aut: “Così la Lega non può stare al governo.“

E oggi la risposta del leader del Carroccio dai microfoni di “Non Stop News su Rtl 102.5″. “La Lega fuori dal governo? Ho tutta l’intenzione di stare dentro, per le nostre idee e le nostre battaglie, anche se qualcuno ci vorrebbe fuori, come il Pd di Letta. La Lega, quindi, c’è ma basta che Letta non provochi continuamente, come sta facendo parlando di ius soli, di immigrati, chiedendo che Salvini vada a processo…e basta!”.

E sulla raccolta di firme sul coprifuoco aggiunge: ”È venuta dal basso. Una richiesta assolutamente trasversale: non è politica ma risponde ad una voglia di libertà da parte dei cittadini. Se c’è qualcosa che non convince, come il coprifuoco, che non ha senso, ma è scelta politica, lo diciamo, in 24 ore quasi 60mila persone hanno firmato il nostro appello online. Il coprifuoco non porta vantaggio, non c’è in Europa, non c’è a Madrid. Se la scienza dice bianco e giallo, perché devo restringere la libertà? Per me dipende dal buon senso, che fai alle 22.01 fai le retate? Il no al coprifuoco viene dal basso”. 

“Siamo d’accordo con Draghi”, continua l’ex ministro dell’Interno, “entro metà maggio ci sarà un aggiornamento in base ai dati scientifici, se continueranno a essere positivi, dal nostro punto di vista la riapertura deve essere totale, con azzeramento del coprifuoco”. Per Salvini c’è urgenza di far ripartire l’economia: “La fine della pandemia è vicina? Lo spero, lo indicano i numeri. Ma spero che qualcuno non dica ’tiriamo giugno, tiriamo luglio, perchè ogni giorno ci sono aziende che chiudono e posti di lavoro che se ne vanno”. 

Dunque, Salvini ribadisce il liberi tutti arrampicandosi sugli specchi, e con i numeri della pandemia che dicono altro. Non si schiodano, infatti, da quella curva che vede giornalmente dai 13 al 15 mila nuovi positivi e 300/400 morti. Ricordo il mio professore di matematica (materia scolastica a me decisamente ostica) che mi ripeteva in continuazione la perfezione dei numeri che si incastrano e che devono dare sempre e, comunque, il totale.

E se oggi i numeri sono quelli giusti e le vaccinazioni soltanto delle chimere (vedi l’altro bluff delle 500mila al giorno sbandierate dal generale Figliuolo), la strategia di Salvini è come una tempesta perfetta. Utile soltanto a calmierare il suo popolo e cercare di risalire la china del consenso perchè quel 2023 è lontano e in politica tutto è possibile. E il modello “Ursula”, per adesso in soffitta, potrebbe essere rispolverato all’interno di un’alleanza allargata in cui Forza Italia, adesso, sembra soltanto uno spettatore, ma non dimenticando che tra 9 mesi si elegge il nuovo Capo dello Stato e la partita per vincere le prossime nazionali, da una parte e dall’altra, si giocherà tutta là. To be continued…

Romani Prodi, la vecchia volpe della prima Repubblica, che nella vita ha acchiappato quasi tutto, tranne forse il sogno della sua vita: quello di salire sullo scranno più alto del paese ovvero il Quirinale. Parla a ruota libera in un’intervista rilasciata al Corriere.it, dove per prima cosa chiarisce la sua indisponibilità a fare il Presidente della Repubblica.

Tra nove mesi si vota per il Quirinale, con Sergio Mattarella che sembra non guardare ad un secondo mandato. “Se si parla di indisponibilità, ne ha un’altra, la mia. Non ho l’età, come cantava Gigliola Cinquetti: nel senso però che ne ho troppa, quasi 82 anni. E poi sono stato un uomo di parte, e in fondo lo sono ancora. Credo che su Mattarella influiranno la sua volontà e gli eventi. Personalmente lo sento il mio presidente della Repubblica. Mi rende tranquillo e credo che renda tranquilla l’Italia”. 

Un vero e proprio assist a Mattarella, per un bis che però lo stesso presidente della Repubblica ha da sempre escluso. Ma come si dice in politica mai dire mai. Lo stesso Giorgio Napolitano, in “illo tempore”, dichiarò la sua indisponibilità per poi accettare o forse subire la rielezione. E’ anche vero che i tempi erano altri ma oggi, in piena pandemia, certamente per Mattarella sarebbe difficile declinare l’offerta di una seconda chance in nome di un equilibrio che lo stesso Prodi gli riconosce e che all’Italia è indispensabile.

E poi continua lodando il neo segretario del Pd, Enrico Letta.  “Tutti conoscono il rapporto di amicizia e fiducia che ho verso Enrico: lo chiamai a Palazzo Chigi come sottosegretario che era un ragazzo. Ebbene, il ragazzo è cresciuto. In Europa si è rafforzato e accreditato. E io, da spettatore più che da protagonista, per quanto angosciato dal debito che cresce, sono fiducioso: al Quirinale, a Palazzo Chigi e nel Pd ci sono le persone che più stimo. Se l’Italia non vince ora non vincerà mai”.

Poi parla di Salvini che definisce “imbertinottato…”. Sì il leader della Lega afferma Prodi “si è messo nella scia di Bertinotti”. E mette in guardia Mario Draghi dalla “sindrome classica delle coalizioni”. Non ha mai dimenticato l’esperienza di Governo del 1996 quando fu Bertinotti a fare cadere il suo governo e che, oggi, potrebbe vedere proprio Salvini nei panni del segretario di Rifondazione comunista.

Aggiunge poi il Professore: “Fai una scelta drastica, come quella di Bertinotti di coalizzarsi con l’Ulivo. Poi cominci a perdere consensi e la cosa ti fa diventare matto. E allora alzi la posta. Ti impunti anche sul niente, ogni giorno di più. Ma attenzione: questo fa perdere voti, non guadagnarli”. E fa cadere i Governi, “ma Draghi ha molte più riserve. È una grande differenza” spiega Prodi, che già agli albori dell’ascesa dell’ex numero uno della Bce avvertiva che gli italiani spesso “attendono un salvatore per poi crocifiggerlo”. In questo caso Salvini “non crocifigge Draghi solo perché non ha il martello. Ma alza la posta. Fa prevalere il suo interesse di parte”.

Come fece con Giuseppe Conte. Quindi a Mario Draghi consiglia di “fare presto. Ma ha più tempo per vedere e mostrare al Paese i risultati positivi della sua azione, anche se tra pochi giorni, poche ore dovrà presentare il suo piano a Bruxelles. Con Conte si percepiva una tensione montante”. La sfida è la crescita con le riforme per una gestione del debito, che ”è un rischio enorme”.

(fonte foto copertina globalist.it)

“Il governo Draghi ci dica cosa vuole fare del Ponte sullo Stretto, abbiamo diritto a una risposta definitiva. Basta con gli eterni rinvii e i balletti, altrimenti siamo pronti a farlo da soli”.
E’ quanto il presidente della Regione Siciliana, Nello Musumeci, ha esternato oggi nel corso di una conferenza stampa a Catania col governatore della Calabria, Nino Spirlì, e l’amministratore delegato di Webuild, Pietro Salini, sul tema ‘Grazie Ponte sullo Stretto: l’opera possibile e necessaria, per l’Italia e per l’Europa’.

All’iniziativa, promossa dal network “Lettera150” con il professore Felice Giuffrè, hanno preso parte anche l’ex ministro Pietro Lunardi, l’assessore regionale alle Infrastrutture Marco Falcone e l’omologo della Calabria Domenica Catalfamo.
Con una battuta, il presidente della Regione Siciliana si è riferito al ponte: “Chiamiamolo “Ulisse” – ha detto – perché pare che a Roma se diciamo Ponte sullo Stretto sia considerata una parolaccia”.

E proprio questa dichiarazione ha innescato una polemica a distanza con il presidente della commissione antimafia in Sicilia, il deputato regionale Claudio Fava, che ha stigmatizzato così le parole del presidente della Regione: “Musumeci ha ribattezzato il ponte sullo stretto “Ulisse”. Contento lui. Ai siciliani invece resta  l’Odissea quotidiana di treni lenti come cent’anni fa e di autostrade che assomigliano alla Parigi-Dakar”. 

“Siamo stanchi di essere considerati colonia – ha continuato Musumeci – vogliamo diventare il cuore, la piattaforma logistica del Mediterraneo. Ma non sarà possibile se non c’è l’alta velocità e se non si passa in tre minuti tra le due sponde. C’è chi vuol mantenere il sistema Italia diviso in due: un Nord ricco e opulento che produce e un Sud povero e straccione che consumai i prodotti del Nord”. 

Problematiche più politiche che tecniche, anche secondo Pietro Salini, amministratore delegato di Webuild, la società che dovrebbe occuparsi della costruzione dell’opera. “Si può fare – spiega Salini –  anzi, lo stavamo facendo, ma ci hanno fermati. La differenza tra i Paesi che crescono e quelli che annaspano è anche nella capacità di creare le grandi opere, di creare prospettive e di essere attrattivi. Il Ponte creerebbe 20 mila posti di lavoro. Noi siamo pronti a partire, anche domani”.
Sulla stessa linea anche il presidente della Regione Calabria, Nino Spirlì: “Calabria e Sicilia sono le porte per chi arriva dal Canale di Suez e dai Paesi che oggi detengono un grande potere economico, come Cina e India, ormai ago della bilancia dell’economia mondiale, e il continente africano che, nei prossimi decenni, sarà l’interfaccia naturale con l’Europa. Non è dunque ammissibile che i primi territori europei non siano tra loro collegati. L’Europa ha l’obbligo di crearlo”.

Insomma, una vera e pura querelle che ha tanto il sapore di campagna elettorale (il prossimo anno si vota in Sicilia per l’elezione del nuovo presidente della Regione). Di “Ponte sullo Stretto” sì è sempre parlato e forse, chissà, anche in era antidiluviana. Oggi, se vogliamo essere davvero schietti, le priorità per la Sicilia sono davvero altre. E quella in cima tra tutte è la battaglia al covid. Il resto è solo esercizio retorico e operazione di “distrazione di massa”.

Un dato che ha molto il sapore “bulgaro”, ma che delinea un quadro chiaro in quel mondo variegato che è il pianeta cinquestelle. Il tributo esce fuori come un coniglio da un cilindro: un sondaggio di Demos&Pi e Demetra, commissionato dal giornale La Repubblica, dà in modo incontrovertibile una tendenza: per il M5S deve essere l’ex premier Giuseppe Conte a guidare il movimento.

E’ il 62 per cento degli elettori cinquestelle intervistati, infatti, che incorona Conte a capo politico della creatura di Grillo. Secondo l’indagine tra la maggioranza dei grillini si preferirebbe che il movimento venga messo in mano a “un nuovo leader o capo politico”, in contrasto con quanto stabilito dall’ultima votazione sul tema avuta sulla piattaforma Rousseau, che aveva deciso, invece, la creazione di un “direttorio a 5” per sostituire l’uomo solo al comando. “Solo” il 37% degli intervistati concorda con quanto deciso lo scorso 17 febbraio.

Dunque, la risultante di questa analisi demoscopica è che dopo Giuseppe Conte, per i grillini ci sarebbe il nulla. Tra gli altri esponenti di spicco, al secondo posto c’è l’ex capo politico e attuale ministro degli Esteri Luigi Di Maio, che però raccoglie soltanto il 6% delle preferenze come nuovo volto alla guida di M5S. Seguono col 3% del gradimento Alessandro Di Battista, che però si è dissociato dal Movimento da quando quest’ultimo ha deciso di entrare nella maggioranza a sostegno di Mario Draghi, il garante Beppe Grillo e l’attuale capo politico Vito Crimi, che sta traghettando il partito verso il nuovo consultorio.

Inoltre, è stato chiesto agli elettori di M5s e Pd come vedrebbero una eventuale coalizione sistematica tra le due forze. Il 34% dei grillini e il 40% dei dem pensa che i partiti dovrebbero presentarsi alle elezioni coalizzati, la soluzione “continuare ad essere alleati senza formare una coalizione” piace al 39% dei “gialli” e al 30% dei “rossi”.

Infine, alla domanda se “il M5S è di sinistra”: il 23% degli elettori del movimento cinquestelle ha dichiarato di ritenersi “di sinistra”, mentre il 27% si è detto “di centrosinistra”. La maggioranza però, al 29%, ha affermato di non essere “né di destra né di sinistra”, mentre solo il 5% si ritiene vicino alla destra.

A questo punto è chiaro che il progetto dell’avvocato del popolo: e cioè quello di costruire un nuovo soggetto politico, di cui molto si era sentito parlare e su spinta, sembrerebbe di entità ecclesiali, parrebbe davvero ormai destinato a finire in soffitta. Anche perchè la vera partita, di un’eventuale premiership, si giocherebbe nel 2023 nella complicata scelta del candidato del centro sinistra. E tutto, ovviamente, Enrico Letta permettendo.

Quella del #Covid è una guerra senza “bombe”. Piaccia o non piaccia ma è così. E quando si è in “guerra” si combatte uniti al di là degli steccati. Un Paese diviso da inutili e dannose arti retoriche è soltanto una cartina geografica e nulla di più. Poi toccherà alla storia scrivere la storia, ma solo dopo che la battaglia sarà definitivamente vinta.

Purtroppo non vedo un #Churchill all’orizzonte, e intendo riferirmi, per non essere frainteso, a tutto l’arco istituzionale. E non si tratta di facile esercizio lessicale, ma di quel senso dello Stato oggi perduto. E citando, umilmente, la frase pronunciata da #Churchill contro #Hitler che voleva invadere l’Inghilterra durante la seconda guerra mondiale: “non si può ragionare con una tigre quando la tua testa è nella sua bocca”, la politica dovrebbe avere il coraggio di svestirsi dai propri abiti consunti che da fin troppo tempo indossa e, tutti uniti, costruire la gabbia per “combattere”, “catturare” e “uccidere” questa “tigre”.

Perché la forza morale di un popolo si vede sempre dalle proprie azioni e i continui sofismi a cui assistiamo da entrambe le “barricate”, ormai non servono più. Servono, invece, gesti decisi. Ma questi appartengono solo agli uomini coraggiosi, agli statisti a chi veramente ha la capacità di superare logiche e interessi per il bene comune. Il tempo degli scontri è finito. Adesso è l’ora di costruire un argine, una trincea e poi ritornare a “combattere”, ognuno, per i propri ideali…

E’ un Davide Faraone senza peli sulla lingua, capogruppo al Senato del partito di Renzi ed ex esponente siciliano del Pd, che si scaglia contro Salvini e Meloni con un duro post su facebook.

“Salvini e la Meloni – si legge sul suo profilo social – dovrebbero ripetere questa frase del nostro Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella almeno tre volte al giorno: “il vero nemico di tutti è il virus, il vero nemico di tutti è il virus, il vero nemico di tutti è il virus” e smettere di lisciare il pelo ai negazionisti, alle piazze, diventando persino virologi e proponendo l’idrossiclorochina e le fake news come cura”.

“Finalmente – aggiunge Faraone – potremmo sperare tutti in una destra più normale, in una opposizione che in emergenza si sforza di essere proposizione. E tifare in un Paese che si unisce, perché la priorità è il benessere sanitario ed economico dei cittadini e non il successo elettorale. Ma loro no. Elezioni, elezioni, elezioni… sono un disco rotto! Possibile che Salvini e Meloni non sappiamo parlare d’altro? La politica è fare qualcosa per la collettività e non una continua corsa alle elezioni, una campagna elettorale che non finisce neppure di fronte ad una pandemia. Spegnete il megafono e date una mano all’Italia”.

L’esponente renziano, dunque, ha scomodato il presidente Mattarella che con quelle parole ha voluto lanciato un messaggio chiaro a tutti. E se Berlusconi ha fatto il primo passo dando un chiaro assist al governo per una unione d’intenti, “sempre per il bene del Paese”, chissà se Matteo Salvini e Giorgia Meloni faranno lo stesso spiazzando Faraone. Perchè in politica mai dire mai. Tutto è possibile e niente è impossibile!

E’ una decisione sofferta quella del governatore siciliano Nello Musumeci, che si appresta a varare le nuove restrizioni in tema di Covid19, tanto da manifestare la volontà di prendersi ancora ventiquattro ore di tempo per rendere pubblica la sua decisione con una specifica ordinanza.

“Dovendo incidere su settori rilevanti nella vita quotidiana delle persone – dice Musumeci – ritengo importante valutare con estrema attenzione i provvedimenti da inserire nella nuova ordinanza per limitare il diffondersi del contagio in Sicilia. Ecco perché, dopo una giornata intensa di confronto con gli esperti del Comitato tecnico scientifico e con l’assessore alla Salute, mi sono preso 24 ore di tempo prima di adottare il nuovo provvedimento che conterrà limitazioni in alcuni settori,  come gli istituti scolastici e il sistema dei trasporti, ma senza colpire le attività economiche”.

“Domani sentirò nuovamente il ministro della Salute – si legge ancora nella nota – per un ulteriore momento di condivisione delle proposte, in uno spirito di leale collaborazione tra Stato e Regione”.

Con molta probabilità le limitazioni riguarderanno le scuole superiori, i trasporti e parzialmente le attività commerciali. Indiscrezioni che troveranno conferma domani alla luce dei numeri della pandemia che, in Sicilia, hanno subito un innalzamento dei contagi e l’istituzione della quinta “zona rossa” a Torretta di cui abbiamo parlato all’interno del nostro giornale (clicca qui per leggere l’articolo).

Quella della realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina è da sempre argomento di scontro politico. Un’opera che vede su due sponde sedersi i fautori del Sì e del No. Ma al di là della stucchevole diatriba tutta in salsa siciliana (credo che ai nordici freghi poco anzi nulla di questa infrastruttura), rimane l’amaro in bocca per l’occasione sempre mancata. E’ l’uovo di Colombo. Tutti la vogliono e nessuno la vuole. Adesso esce fuori dal cilindro con la solita polemica che vede questa volta protagonisti l’assessore regionale siciliano Marco Falcone e il ministro per il Sud, anch’esso siciliano, Giuseppe Provenzano.

“Apprendiamo dell’ultimo diniego del Governo Conte – scrive l’assessore Falcone – stavolta giunto per bocca del ministro Provenzano, al progetto del Ponte sullo Stretto e all’eventuale utilizzo del Recovery fund per realizzare l’opera. Con amarezza dobbiamo rispondere che, purtroppo, l’unica ‘incompatibilità’ che vediamo è quella fra la visione di Roma, sostenuta paradossalmente da ministri ed esponenti siciliani che ci governano, e l’orizzonte, l’obiettivo, dello sviluppo della Sicilia”.

Parole dure, quelle di Falcone, rivolte al ministro Giuseppe Provenzano che aveva preso una posizione netta sulla realizzazione dell’opera: “i tempi del Ponte sono incompatibili con quelli del Recovery Fund”.

“E’ da mesi che si assiste ad un balletto mediatico – continua l’esponente del Governo Musumeci – condito di retromarce, annunci roboanti e fantasie come il tunnel dello Stretto, quando invece la doverosa responsabilità di governo imporrebbe soltanto chiarezza nei confronti dei siciliani: il Governo Conte non vuole il Ponte, non vuole recepire le aspettative di crescita dell’intero Mezzogiorno. Basterebbe ammetterlo per chiudere questo teatrino e rinviare tutto al 2023. Quando, cioè, il centrodestra finalmente al governo del Paese potrà dedicarsi, senza il freno delle tare ideologiche, alla svolta epocale del Ponte”.

Quindi non resta che aspettare il 2023 e se il centrodestra vincerà le elezioni, verificare se l’impegno dell’assessore Falcone, magari nominato ministro per il Sud, verrà mantenuto. E chissà, forse, sarà la volta buona. Ma voi siete favorevoli al ponte?

Fonte foto copertina normanno.com; fonte foto Ponte mediterraneocronaca.it

Durissima la presa di posizione del governatore siciliano Nello Musumeci che, con un post su facebook, ha attaccato il governale nazionale reo di essere latitante sulla situazione che riguarda l’Hotspot di Lampedusa. Lo stesso governo si era impegnato ad intervenire in tempi brevi e Musumeci, nel recente incontro con il premier Conte, aveva avuto assicurazioni per una rapida soluzione. Ma a quanto pare tutto sembra essere in una fase di stallo.

Questo è quanto scrive Musumeci sul suo profilo social: “Oltre milleduecento (1256) presenze all’Hotspot di Lampedusa. Ancora ammassati, di nuovo. Lo Stato ha rivendicato in ogni sede la sua competenza, ma continua a non esercitarla fino in fondo. Segnalo che non mi risulta che nessuno degli interventi segnalati dalla task force regionale sia stato eseguito per adeguare la struttura alla fase di emergenza sanitaria in corso. E anche l’iniziativa diplomatica, di cui ci ha parlato a Roma il ministro Lamorgese, non ha prodotto alcun effetto. Il fenomeno degli sbarchi in Sicilia è affidato al clima, non alla politica. Se c’è brutto tempo si rallenta, con il bel tempo si arriva a flusso continuo. Se non bastassero i barchini, le navi quarantena sono piene di persone portate dalle Ong. Anche in questo il governo non ha voluto raccogliere la nostra proposta. Avevamo detto una cosa di buon senso: se la Sicilia deve gestire gli sbarchi autonomi, non può sopportare anche quelli programmati dalle Ong, che andrebbero quindi destinati in altri porti europei. Risultato: navi piene e hotspot stracolmi. Con rischio di contagio per chi arriva, per gli operatori e per la collettività. Sono trascorsi molti giorni dalla mia ordinanza ed oggi posso serenamente dire che: alle parole non sono seguiti i fatti; che l’Europa non guarda alla Sicilia e al Mediterraneo; e che il governo nazionale preferisce polemizzare con il presidente eletto dai siciliani, piuttosto che avere l’umiltà di riconoscere ritardi e omissioni. Una cosa è certa: ho il dovere di intervenire. E niente e nessuno potrà intimidirmi o farmi desistere dal dovere di tutelare la salute di tutti”.

Oltre milleduecento (1256) presenze all’Hotspot di Lampedusa. Ancora ammassati, di nuovo. Lo Stato ha rivendicato in…

Gepostet von Nello Musumeci am Montag, 21. September 2020

Ancora una volta Papa Francesco utilizza il linguaggio diretto del “verbo”. Quello che accarezza ma al contempo “schiaffeggia”. Il Pontefice ritorna sul tema dell’avidità denaro, che sostiene essere “alla radice di tutti i mali dell’Umanità”, riprendendo le parole dell’apostolo Paolo.

Non è la prima volta che Francesco esterna il suo pensiero e lo porta su ogni strada del pianeta. Quasi un appello a riflettere su come l’uomo continui nella ricerca spasmodica di ricchezza. Già aveva parlato di “idolatria” del denaro che distrugge le famiglie: “un atteggiamento chiamato cupidigia”.  E come non ricordare il “nostro Biagio Conte” che, per diversi giorni, ha fatto sentire la sua voce di protesta contro la povertà, dormendo all’addiaccio.

La ricerca della povertà ricordando che “Gesù Cristo, che era ‘ricco’, si è fatto povero per arricchire noi. Quella è la strada di Dio: l’umiltà, l’abbassarsi per servire. Invece, potere e soldi ti portano per la strada contraria: tu, che sei un povero uomo, ti fai Dio per la vanità”.

Ovviamente il riferimento è anche alla politica che governa il pianeta. E tra le sue parole il riferimento alla giustizia sociale rimane una delle grandi tematiche che hanno contraddistinto, sin dall’inizio, il suo mandato papale. Lui che è stato definito il Papa “comunista”, erroneamente, dà all’uomo la speranza di poter recuperare la sua identità in un mondo malato e assuefatto.

E non possiamo pensare che l’essersi tuffato nel mare “inquinato” dell’indifferenza, sia solo l’ennesimo anatema. Non vogliamo tirarlo per la “giacchetta”, ma a meno di un mese dall’appuntamento elettorale in Italia, le sue parole suonano come una campana che certamente vuole farsi sentire con il suo fragore e la forza del suo suono.

L’eco si sente, ma quello che temiamo è che possa rimanere tale e disperdersi. Ma come banalmente si dice: “la speranza è sempre l’ultima a morire”.