Tag

salvini

Browsing

Si preannuncia uno scontro durissimo tra Salvini e Di Maio. A quanto pare ci sono novità sul versante dei criteri per ottenere il tanto famigerato reddito di cittadinanza, cavallo di battaglia dei cinquestelle.

Un anno di servizio civile obbligatorio per i richiedenti il reddito di cittadinanza che abbiano tra i 18 ed i 28 anni. Lo prevede un emendamento al “Decretone” presentato dalla Lega in commissione al Senato. La norma si applica a chi non abbia già svolto il servizio civile universale e richiede una “presenza media settimanale di 25 ore”.

Con un emendamento, invece, presentato dal Movimento 5 Stelle potranno essere estese le sanzioni maggiorate contro il lavoro nero già previste in caso di impiego di lavoratori stranieri irregolari e di minori in età non lavorativa anche in caso di impiego ‘sommerso’ dei beneficiari del reddito di cittadinanza. La legge già stabilisce nei due casi citati una maxi sanzione incrementata del 20 per cento.

Controlli anche su chi divorzia e poi richiede il reddito. Se la separazione o il divorzio è avvenuto dopo il primo settembre 2018, gli ex coniugi che facciano domanda devono certificare di non risiedere più nella stessa casa con “apposito verbale della polizia municipale”. E’ quanto prevede un altro emendamento della Lega. La norma, viene spiegato, mira a limitare le frodi di chi chiede il reddito di cittadinanza fingendo la separazione o il divorzio pur continuando a vivere nella stessa casa.

Ma la novità è la proposta che prevederebbe l’erogazione del reddito solo a chi ha lavorato almeno 2 anni. La Lega, infatti, vuole introdurre poi un paletto alla distribuzione del reddito di cittadinanza. Un emendamento conterrebbe come requisito per beneficiare del reddito che almeno uno dei componenti del nucleo familiare “abbia corrisposto, nei dieci anni precedenti, imposte e contributi da lavoro, in un qualsiasi importo e per almeno 24 mesi, anche non continuativi”. Un altro emendamento chiede che ogni mese arrivi all’Inps l’attestato dell’adempimento degli obblighi prima dell’accredito mensile del reddito.

La Lega, infine, chiede anche una stretta sul sussidio agli stranieri e in particolare più stringente per limitare la platea degli stranieri che possono accedere al Reddito. Con una delle proposte di modifica presentate in commissione Lavoro al Senato si esclude la possibilità che per chiedere il reddito sia sufficiente la presenza di un familiare in possesso di un permesso di soggiorno mentre un altro emendamento stabilisce l’obbligo di certificazione, tradotta in italiano, della composizione del nucleo.

Quindi lo scontro è servito ma soprattutto questa mossa dei leghisti viene letta come un passo ulteriore all’erosione del potere contrattuale dei grillini ormai “ostaggio” della politica “vincente” di Salvini. E se consideriamo che anche i sondaggi non premiano più il movimento di Grillo che vive una vera e propria emorragia di consensi.

E’ un’affermazione che creerà un vespaio di polemiche, quella di Carlo Nordio, ex Procuratore Aggiunto di Venezia e titolare dell’inchiesta sul Mose, ma anche protagonista della stagione di “Mani pulite” con la celebre inchiesta sulle cooperative rosse. Il magistrato ha scritto di suo pugno un articolo sul Messaggero, oggi ripreso dal sito online Affari italiani, dal titolo: “La lezione che nessuno può dare al nostro Paese”. Il chiaro riferimento è alla polemica sul caso della nave Aquarius e sulle dure posizioni contro l’Italia del presidente francese Macron.

Ma che cosa dice Nordio? “Il diritto internazionale, come tutto il diritto, non è una scienza esatta, e su ogni questione esistono opinioni diverse, e addirittura opposte”, scrive l’ex pm di Venezia“L’ultimo esempio lo abbiamo avuto poche settimane fa, quando illustri costituzionalisti, anche appartenenti alla stessa area culturale, si sono divisi sulla legittimità del veto posto dal Presidente Mattarella alla nomina del professor Paolo Savona. Nel diritto internazionale, tuttavia, esistono alcuni punti fermi, che risalgono ai tempi di Ugo Grozio, cioè alle prime teorizzazioni di questa disciplina. Sono i seguenti: 1) pacta sunt servanda; 2) rebus sic stantibus; 3) bona fides”.

In merito al diritto internazionale sui migranti, Nordio aggiunge: “I trattati sono molti, e ambigui. (…) Tutti comunque concordano nell’imporre l’obbligo, in caso di soccorso in mare, di trasferire i naufraghi in un porto sicuro. Quello di Dublino ha un oggetto diverso: prevede i doveri dello Stato di prima accoglienza. Ma restiamo al salvataggio dei naufraghi. La nave olandese (o tedesca, non si è capito) ha tratto in salvo i migranti al largo delle coste libiche: i porti più sicuri e (vicini) erano in Tunisia e a Malta, paesi pacifici che garantiscono il rispetto dei diritti umani. Perché allora portarli in Italia? Perché, si dice, l’Italia avrebbe coordinato le operazioni di salvataggio. Ma questo non è previsto dalla legge del mare, che parla, appunto, solo del porto più sicuro“.

“Ammettiamo, per assurdo, che questo nostro obbligo esista”, prosegue Nordio. “Orbene, la disciplina dei naufraghi si applica a coloro che, in circostanze occasionali e impreviste si trovano in pericolo d vita. Ora è indubbio che i poveretti soccorsi in questi giorni versassero in pericolo. Alcuni, temiamo, saranno anche annegati. Ma è possibile affermare che queste navi tedesche battenti bandiere olandesi ( o viceversa), che incrociano a poche miglia dalla Libia e spesso sono in contatto con gli scafisti, è possibile, dicevo, sostenere che raccolgano ‘naufraghi’, o non piuttosto disgraziati cacciati in quella carrette secondo programmi elaborati da organizzazioni criminali? Ed è possibile che gli Stati di partenza, e anche quelli di bandiera delle navi, siano davvero ignari di questo traffico sciagurato? E allora da che parte sta la buona fede, che dovrebbe presiedere all’interpretazione e all’esecuzione dei trattati?”.

Nordio passa poi all’aspetto politico: “Il presidente Macron non ha nessun titolo per impartire lezioni di morale. Le vergogne di Calais e di Ventimiglia, dove i francesi hanno tenuto ammassati migliaia di migranti, fanno il paio con la macroscopica violazione della nostra sovranità con l’arrogante sconfinamento dei ‘gendarmes’ a Bardonecchia. Ma la Francia non è l’unica. I primi a chiudere le frontiere sono stati i ‘progressisti’ Stati baltici, la Svezia e la Danimarca. Poi la Gran Bretagna ha chiuso Dover, quindi tutta l’Europa dell’est ha sbarrato i confini, e l’Austria ha minacciato i carri armati al Brennero. L’Italia, ormai è quasi banale dirlo, è stata lasciata a sbrigarsela da sé”. 

Dunque, conclude Nordio, “il nostro nuovo governo si sta comportando con coerenza e dignità. I migranti raccolti dall’Aquarius sono, e sarebbero stati comunque, assistiti: il ministro Salvini aveva anche proposto lo sbarco delle donne incinte e dei bambini. E’ comprensibile che l’Europa si rammarichi di aver perso il nostro universale centro di raccolta che la esonerava da tanti impegni umani e finanziari, ma deve farsene una ragione. E in effetti qualcosa si sta muovendo. Dopo una politica di remissività passiva, occasionalmente corretta dal ministro Minniti , alzare un po’ la voce non fa male”. Ed è lo stesso Salvini a parlare durante l’informativa in Senato sul caso Aquarius: “Ringrazio l’ex procuratore di Venezia Carlo Nordio che ha scritto un articolo che mi ha confortato”.

E adesso guelfi e ghibellini potranno continuare a sfidarsi e, ognuno, brandire la spada delle proprie ragioni, ma questo certamente non risolverà il problema figlio non solo di interessi economici, ma soprattutto di politiche sbagliate a 360 gradi. E il conto a pagarlo, saranno sempre i più deboli, in questo caso i “poveri” e “disgraziati” migranti.

 

 

 

Come inizio non c’è male. Il Governo targato Conte fa il suo esordio con una sonora sconfitta, come si direbbe in gergo calcistico. Una debacle su tutta la linea, da far impallidire perfino chi lo sostiene.

La fiducia alla Camera dei Deputati è stata ottenuta ma è una sequenza di gaffe, equivoci e cadute di stile da retrocessione diretta, per restare in ambito sportivo. A metà tra Totò e Mr Bean, il primo scivolone di Conte è su il discorso da pronunciare. Il premier, che si è autodefinito “avvocato del popolo”, è stato beccato in un fuorionda: “Questo lo posso dire?”, ha chiesto a Di Maio, in un segnale inequivocabile della sua grande autonomia decisionale.

“No”, è stata la risposta secca del capo del M5S che, a sua volta, ha fatto capire al povero Conte chi comanda veramente. Non proprio una bella figura, per la verità. Ma la dose, se possibile, è stata rincarata subito dopo quando il professore dal curriculum misterioso perde gli appunti e va nel panico. Tutto a posto, ci pensa Di Maio: “Li trovo io, tu comincia a parlare”, spinge il bottone il ministro del Lavoro al neo Presidente del Consiglio.

Terza battuta a vuoto sulla mafia e sul presidente della Repubblica: “Una delle cose che più mi ha addolorato nei giorni scorsi è stato l’attacco alla memoria di un congiunto del presidente Mattarella sui social e veramente mi è dispiaciuto”. Belle parole nei riguardi del Capo dello Stato, peccato che Conte si non si ricordava che il fratello in questione si chiamava Piersanti, era un ex presidente della Regione Siciliana ed è stato ucciso dai killer di Cosa Nostra.

Semplice sbadataggione? Non proprio visto le polemiche che si sono scatenate. “È Piersanti, si chiamava Piersanti”, ha urlato – insolitamente alterato – il capogruppo del Pd alla Camera, Graziano Delrio verso il Presidente del Consiglio,. Un consiglio a Conte: quando è in difficoltà basta cercare su Google per ricostruire vicende che magari non si conoscono. Chiusura con due annotazioni. La prima di carattere giornalistico: non siamo contro il nuovo Governo ma, oggettivamente, questa volta Conte (e Di Maio) hanno toppato clamorosamente. 

La seconda è, invece, di carattere prettamente politico. Ma Salvini dov’era? Siamo sicuri che il suo silenzio non sia tattico? Della serie…li lascio sbagliare tanto poi ci penso io. Insomma il numero uno della Lega lavora in silenzio e, sotto sotto, aspetta il suo momento. Se continua così l’attesa non durerà a lungo.

“Ho accettato l’incarico di formare un governo come mi ha chiesto il presidente della Repubblica. Sono molto onorato come italiano di questo incarico e naturalmente ce la metterò tutta. Mi presenterò con un programma che in caso di fiducia includa l’approvazione della legge bilancio e poi preveda lo scioglimento del Parlamento e elezioni nel 2019”.

Parole, quelle dell’economista Carlo Cottarelli, premier incaricato da Mattarella, per tentare di formare il governo dopo che, il possibile accordo giallo-verde tra Lega e cinquestelle, è rovinosamente naufragato.

“In assenza di fiduciaha continuato Cottarelli il governo si dimetterebbe immediatamente ed il suo compito sarebbe quello dell’ordinaria amministrazione per le elezioni dopo il mese di agosto. Essenziale rimane, comunque la partecipazione dell’Italia all’area Euro”. Il premier incaricato ha anche assicurato che in “tempi molto stretti” verrà presentata, al presidente della Repubblica,  la lista dei ministri.

Dunque, Cottarelli mette le mani avanti perchè, probabilmente, non vuole cadere nel tritacarne politico, facendo la fine di Salvini e Di Maio. E intanto tra richieste di impeachement per alto tradimento (in verità a chiederle sono Di Maio e la Meloni) e ritorno alle urne, il vero vincitore ha un nome e cognome: Matteo Salvini che, come il tanto sbandierato “miracolo italiano” di Berlusconi, ha portato la Lega dal 4 a quasi il 20 per cento e “rischia” che, al prossimo giro, possa fare l‘en plain e arrivare al 25. E chissà se tutto ciò è stato sapientemente costruito in ogni dettaglio per poter capitalizzare il risultato elettorale del 4 marzo e diventare leader incontrastato del centrodestra. Non resta che attendere e sapremo se la “trappola” di Salvini sarà riuscita e non sarà uno “scherzi a parte”.

Dura appena quattro giorni l’incarico che il capo dello Stato ha affidato a Giuseppe Conte per la formazione di un governo M5s-Lega. Oggi pomeriggio il professore ha deciso che era impossibile formare il Governo.

Nel pomeriggio c’erano stati due lunghi colloqui al Colle per i leader di M5S e Lega, Luigi Di Maio e Matteo Salvini, che hanno hanno preceduto l’arrivo del premier incaricato. Di Maio e Salvini hanno visto il presidente Sergio Mattarella per cercare di sbloccare in extremis l’impasse sul governo giallo-verde, e in particolare sulla presenza alla guida del ministero del Tesoro di Paolo Savona.

“Abbiamo dimostrato buon senso, generosità, responsabilità. Abbiamo rinunciato al presidente della Camera, al presidente del Senato, alla presidenza del Consiglio. Abbiamo finito di rinunciare. Quello che dovevamo fare, l’abbiamo fatto”, ha detto Matteo Salvini.

“La scelta di Mattarella è incomprensibile”, ha attaccato Di Maio, “la verità è che non vogliono il M5s al governo, sono molto arrabbiato ma non finisce qui. Avevamo espresso Conte come presidente del consiglio, avevamo una squadra di ministri, eravamo pronti a governare e ci è stato detto no perché il problema è che le agenzie di rating in tutta Europa erano preoccupate per un uomo che andava a fare il ministro dell’Economia. Allora diciamocelo chiaramente che è inutile che andiamo a votare tanto i governi li decidono le agenzie di rating, le lobby finanziare e bancarie, sempre gli stessi”.

Durissima la risposta del Capo dello Stato: “Ho agevolato il tentativo di dar vita a governo, ho atteso i tempi per farlo approvare dalle basi militanti. Io devo firmare i decreti per le nomine dei ministri assumendone la responsabilità istituzionale, in questo caso il presidente della Repubblica svolge un ruolo di garanzia che non ha subito né può subire imposizione. L’incertezza della nostra posizione nell’Euro ha posto in allarme investitori italiani e stranieri che hanno investito in titoli e aziende. L’aumento dello spread aumenta debito e riduce la possibilità di spese in campo sociale. Questo brucia risorse e risparmi delle aziende e prefigura rischi per le famiglie e cittadini italiani”.

Mattarella spiegato che la decisione di non accettare il ministro dell’Economia “non l’ho presa a cuor leggero” aggiunfo che “non può sostenere la proposta di un ministro sostenitore della fuoriuscita dell’Euro. L’incertezza sulla nostra posizione ha posto in allarme investitori e risparmiatori italiani e stranieri che hanno investito nei nostri titoli di Stato e nelle nostre aziende. L’impennata dello spread riduce le risorse dello Stato, occorre fare attenzione al pericolo dell’aumento degli interessi per i mutui e per i finanziamenti alle aziende. È mio dovere essere attento alla tutela dei risparmi degli italiani, in questo modo si riafferma concretamente la sovranità italiana”.

Spiegando che “l’adesione all’euro è una scelta fondamentale, se si vuole discuterne si deve farlo in modo approfondito”. Cosa farà dunque il Presidente? “Sono stato informato di richieste di alcune forze politiche di andare a elezioni ravvicinate. E’ una decisione che mi riservo di prendere dopo aver valutato quanto accadrà in Parlamento”. E il Presidente ha assicurato che nelle prossime ore assumerà “l’iniziativa”. E domani mattina, al Quirinale, il Capo dello Stato ha convocato l’economista Carlo Cottarelli probabilmente per una nuova e clamorosa designazione.

Una sola cosa, nel caos generale, è certa: presto avremo i dettagli del governo targato 5Stelle-Lega, oppure di quello “neutro”e“di servizio” targato Mattarella. E dunque sapremo se le elezioni sono vicine o lontane.

Intanto già sappiamo che, comunque vada, sarà un pastrocchio. Perché da che mondo e mondo, persino nel Paese più bizantino dell’Occidente, i governi devono avere una maggioranza (o una minoranza, se destinati alla sfiducia o alla non sfiducia) chiara. E tutto si può dire sia del governo Di Maio-Salvini, sia del governo Mattarella, fuorché nascano
all’insegna chiarezza. Il governo “neutro” altro non è che un ministero tecnico alla Monti, benedetto dal Quirinale e chiamato a scelte squisitamente politiche (Iva, svuotacarceri, intercettazioni, nomine Rai e Cdp…).

Con la differenza, rispetto a Monti, che questo partirebbe già morto perché l’unico partito disposto a votarlo è il Pd, quello che giurava opposizione a tutto e tutti. Il governo 5Stelle-Lega, salvo chiarimenti dell’ultima ora, rischia di essere ancor più oscuro, perché poggia le fondamenta su un equivoco grosso come una casa: il ruolo di Berlusconi, delinquente naturale, pregiudicato ineleggibile e interdetto.

Il governo 5Stelle-Lega, salvo chiarimenti dell’ ultima ora, rischia di essere ancor più oscuro, perché poggia le fondamenta su un equivoco grosso come una casa: il ruolo di Berlusconi, delinquente naturale, pregiudicato ineleggibile e interdetto. Finora Di Maio aveva condizionato l’accordo con la Lega alla rottura del centrodestra, “coalizione finta”, cioè al divorzio tra Salvini e l’imbarazzante alleato. “Salvini scelga fra restaurazione e rivoluzione”, aveva detto, spiegando che “con Berlusconi non si potrà mai cambiare nulla”. Perfetto.

Senonché ieri il Caimano, sfoggiando il suo ultimo travestimento, ha fatto sapere che Salvini può fare il governo con i 5Stelle – che lui considera peggio di Hitler e manderebbe tutti a lavare i cessi di Mediaset – senza rompere la coalizione di centrodestra. Deciderà poi lui, dopo aver visto il premier e i ministri, cosa farà FI: se darà l’appoggio esterno astenendosi (“astensione critica”, anzi “benevola”: ahahahah) o non partecipando al voto, o addirittura voterà contro il governo dell’ alleato e passerà all’ opposizione (finta, visto che la coalizione resterebbe intatta con Salvini leader). Una pagliacciata mai vista neppure in Italia. Tipo quei bei matrimoni dove il marito autorizza la moglie a mettergli le corna, e magari si diverte pure a guardare da dietro la porta. E questa sarebbe solo la parte visibile dell’accordo.

Poi, come sempre quando c’è di mezzo B., c’è quella invisibile. Che è ancora peggio: oscena, nel vero senso della parola (fuori scena). Per scoprirla basta porsi una domanda: perché oggi B. autorizza Salvini a fare ciò che per oltre due mesi gli ha furiosamente proibito?

Delle due l’una. O solo perché ha paura del voto. O anche perché ha ottenuto quelle “garanzie” che ha sempre preteso dai governi non suoi per non scatenare la guerra termonucleare: favori a Mediaset e nessuna norma contro le quattro ragioni sociali della sua banda (corruzione, evasione fiscale, mafia e conflitto d’ interessi). E chi può avergliele date? Ovviamente Salvini che, con Di Maio, tratta per conto di tutto il centrodestra. E qui casca l’asino con tutta la foglia di fico: trattare con Salvini-e-basta è un conto, trattare con Salvini che tratta anche per conto di B. è tutt’altro.

Un governo M5S-Lega-e-basta, oltre alle tante controindicazioni (dalla xenofobia di Salvini&C. al passato ignobile di un partito appiattito da 18 anni sugli affari di B. alle proposte demenziali tipo flat tax), almeno un vantaggio ce l’avrebbe: l’estraneità del Carroccio salviniano (l’inciucione Giorgetti è già tutt’altra cosa) a molte delle mille lobby che bloccano l’Italia e che han sempre trovato protezione all’ombra di Pd&FI. Ma proprio qui sta il punto: Salvini ha le mani libere o no? L’ultima giravolta di B. fa sospettare di no. E un governo che nasce sul non detto è destinato a non fare. In ogni caso, se nascerà, lo capiremo subito.

Dal nome del premier, e soprattutto da quelli dei ministri della Giustizia e delle Telecomunicazioni. E dal testo del “contratto ” fra i due alleati: se recepirà le storiche battaglie del M5S contro i conflitti d’interessi, le concentrazioni televisive e pubblicitarie, la corruzione, la prescrizione e le mafie, e anche l’ottimo proposito annunciato da Salvini in campagna elettorale di “mandare in galera gli evasori”, sapremo che B. è davvero fuori gioco e ha subìto il governo M5S-Lega per il terrore del voto, senza contropartite.

Se invece avrà ministri forzisti travestiti da leghisti o da tecnici “di area”, più posti in prima fila nel nuovo Cda Rai e nel nuovo Csm, oltre alle commissioni di garanzia che gli spetterebbero come (finto) oppositore (Vigilanza Rai? Antimafia?), e se le leggi contro ogni malaffare che attendiamo invano da 25 anni sparissero dai radar, vorrà dire che B. non è affatto “esterno”: è più che mai interno, tipo cetriolo. Ma c’è anche una terza ipotesi: che Salvini e B. siano d’accordo a menare il can per l’aia, facendo partire il governo e poi rinviando alle calende greche le scelte scomode (per B.), contando sull’istinto di sopravvivenza dei parlamentari e rendendo vieppiù impopolare una rottura.

La cui colpa ricadrebbe sul M5S gabbato. Per la gioia del Pd renziano, che infatti ieri sprizzava gaudio da tutti i pori per un governo che lo lascerebbe solo all’opposizione a lucrare sugli auspicati litigi e pasticci di un governo tanto eterogeneo. Al momento, con tutte queste ambiguità, il governo M5S-Lega conviene a Lega, B. e Pd, ma non al M5S e – quel che più conta – neppure agli italiani. Starà all’abilità di Di Maio rinunciare a ruoli ministeriali e guidare il gruppo parlamentare per stanare Salvini, incalzare il governo sul contratto e staccargli la spina al primo cenno di tradimento o di logoramento. Peggio delle larghe intese ci sono soltanto le larghe fraintese.

 

(di Marco Travaglio, fonte “Il Fatto Quotidiano”)

“Continuo a pensare che abbiamo fatto bene a non cedere alle lusinghe dei grillini. Faranno il governo con la Lega? Auguri! A noi spetta il compito di fare l’opposizione”. Entra nel dibattito della formazione del nuovo governo, che ormai sembra cosa fatta tra la Lega e i cinquestelle, Antonio Rubino, esponente dei Partigianidem e ala di minoranza del partito democratico in Sicilia.

“Non capisco i tanti esponenti del mio partito che gridano allo scandalo sull’accordo Salvini-Di Maio dopo aver detto per mesi, giustamente, che tocca a loro. L’unico vero elemento di contraddizione emerge per il M5S, che ha legato le sue sorti al permesso di Berlusconi. In ogni caso adesso governino e noi lavoriamo a ricostruire il Pd ed una proposta politica per il Paese”.

Con un discorso drammatico, perché non ha nascosto nulla della gravità senza precedenti della crisi in corso, Mattarella ha annunciato un suo governo a partiti dimostratisi incapaci di farne uno loro. Un governo «neutrale», «di servizio», composto da persone non ricandidabili, con scadenza comunque a dicembre; perché un governo in ogni caso serve, anche se si vuole tornare alle urne, perfino se si vuole votare, per la prima volta nella storia della Repubblica, in piena  estate.

Il problema è che M5S e Lega, cioè più della metà del Parlamento, hanno già risposto che voteranno contro questo governo, negandogli dunque la possibilità di fare ciò che sta a cuore al Presidente, e in verità dovrebbe stare a cuore a tutti: arrivare a dicembre per fermare l’aumento dell’Iva, evitare il rischio di una speculazione sui mercati contro un Paese troppo a lungo senza guida, contare qualcosa quando a giugno in Europa si deciderà su questioni cruciali come i
migranti. Avendo finora impedito che nascesse un esecutivo politico, ora i partiti possono impedire anche che ne nasca uno non politico.

Il potere di dare la fiducia appartiene a loro, dunque anche la responsabilità. Il risultato è che, come mai dal 1948, il nostro sistema parlamentare non si è rivelato in grado di dare un esito al voto popolare. La legislatura sta morendo
prima di nascere. E niente ci assicura, vista la legge elettorale e i suoi risultati, che la prossima volta sarà diversa. I due «vincitori» del primo turno ovviamente ci sperano, e già definiscono questo secondo turno elettorale un ballottaggio.

Ma la storia è piena di democrazie azzoppate dal ripetersi di elezioni inutili: i cittadini votano per avere un governo, non per il gusto dell’agonismo. Soprattutto quando il torneo appare così smaccatamente condizionato dalle ambizioni
personali dei leader, dalla fretta che hanno di vincere per non essere disarcionati, o dalla speranza di tornare in pista pur avendo perso.

Così lo scontro politico di questi due mesi si è trasformato, inevitabilmente, in una grave tensione istituzionale. Tra i partiti ha prevalso il giochino del pop corn. È una metafora più volte usata in questa crisi. Ogni volta che qualcuno voleva sfuggire alle sue responsabilità, se ne usciva dicendo: «Ora ci compriamo i pop corn e ci divertiamo». Il che stava a dire: voglio proprio vedere come se la sbrogliano gli altri. O anche: tanto peggio, tanto meglio per me, che almeno mi diverto (sottinteso: conquisto altri voti). Si sono divertiti tutti, pare; e adesso vogliono che il pop corn lo compriamo noi elettori e ci sediamo ad assistere al più straordinario degli spettacoli politici mai visti: la seconda campagna elettorale in sei mesi.

Questa propensione al gioco del cerino non è purtroppo tipica solo del nostro sistema politico: in troppi campi gli
italiani preferiscono che perda pure l’avversario, se non possono vincere loro. Ma in politica si gioca con il bene comune. E nessuno tra i protagonisti di questa crisi è esente da colpe. Né chi avendo preso molti voti aveva la responsabilità di accettare i compromessi inevitabili a far nascere un governo di coalizione. Né chi, avendo preso meno voti, ha pensato solo a mettersi di traverso per dimostrare che gli elettori si erano sbagliati. La crisi si è così trasformata in un minuetto: ciascuno dei tre schieramenti maggiori mancava dei parlamentari necessari per fare un governo, ma nessuno dei tre è riuscito ad allearsi con un altro per ottenerli.

Lo scambio di accuse finali ha il solo scopo di prendere la posizione migliore per la griglia di partenza del nuovo gran premio elettorale. Così ora non ci resta che scoprire se si voterà a luglio, addirittura l’otto, la data che con una certa presunzione Di Maio e Salvini hanno ieri indicato a Mattarella, unico titolato in materia; oppure a fine luglio, visto che prima è difficile anche tecnicamente, quando cioè alcuni milioni di italiani saranno in meritate vacanze; o in autunno, come Berlusconi preferirebbe, distinguendosi in questo da Salvini. Fino a dicembre, come vorrebbe Mattarella, nelle  attuali condizioni non pare possibile arrivarci. Il suo invito alla responsabilità per il momento non è stato accolto. C’è ancora qualche ora per ripensarci. Ma la legge di Murphy dice che se una cosa può andare male, andrà male. E questa legislatura è finora andata così male da far disperare che si possa riprendere in articulo mortis.

(Antonio Polito, Corriere della Sera)