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“Nessun rischio recessione per l’Italia e, dunque, per l’economia del nostro paese che continua a crescere”. E’ quanto ha dichiarato il premier italiano Mario Draghi, in apertura del vertice Ue a Versailles.

“Quel che ho detto in consiglio dei ministri è che noi dobbiamo affrontare queste mancanze, queste strozzature nell’offerta di materie prime subito, in tutti i settori, sostenendo le famiglie, sostenendo le imprese ma anche diversificando le fonti di approvvigionamento”.

“La risposta al dramma della crisi ucraina – ha aggiunto Draghi – non può che essere europea, come la risposta alla Russia. Ho avuto un lungo incontro con il presidente Macron. Italia e Francia sono allineate al resto della Ue sia nella risposta sulle sanzioni sia nel sostegno per i nostri paesi che queste sanzioni comporteranno”.

“L’economia europea cresce ancora, ma c’è stato un rallentamento – ha detto ancora Draghi – per la mancanza di materie prime e problemi non soltanto nel campo energetico, ma anche nel campo agroalimentare. E’ una situazione italiana ma anche europea. Dobbiamo sostenere le imprese e il potere d’acquisto delle famiglie con la stessa convinzione e con la stessa rapidità con cui abbiamo sostenuto la risposta alla Russia”.

“Poco fa ho avuto un lungo incontro con il Presidente Macron – ha sostenuto infine il premier italiano – nel quale abbiamo discusso della guerra e delle conseguenze per l’Europa e per l’Italia. Italia e Francia sono allineate con il resto dell’Unione Europea, sia nella risposta alle sanzioni sia nel sostegno per i nostri Paesi che queste sanzioni necessariamente comporteranno. Abbiamo chiesto tutti insieme tante volte al presidente Putin di cessare le ostilità, in particolare i bombardamenti sui civili e continueremo a farlo”.

IL VIDEO

(fonte agenzia agi – foto ansa- video agenzia vista)

In un video di 4.37 minuti la giornata politica odierna raccontata dall’agenzia Vista. Dall’intervento del presidente ucraino Volodymyr Zelensky al Parlamento europeo, a quello della presidente della commissione europea, Ursula Von der Leyen. Dalla condanna di Josep Borrell, l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, alla presa di posizione in Senato del premier italiano, Mario Draghi, sulla crisi Ucraina.

(fonte romauno.tv e agenzia vista)

“Tollerare una guerra di aggressione di uno stato sovrano europeo, vorrebbe dire mettere a rischio, in maniera forse irreversibile la sicurezza e la pace in Europa”. E’ una parte dell’intervento che il premier Mario Draghi ha fatto questa mattina in Parlamento.

“Ammiro il coraggio di chi partecipa alle manifestazioni in Russia contro la guerra in Ucraina. Il Cremlino – ha detto ancora Draghi – dovrebbe ascoltare queste voci e abbandonare i suoi piani di guerra”.

IL VIDEO

(fonte agenzia Vista)

La quarta ondata è già arrivata nel nostro paese e la curva dei contagi sta iniziando a risalire. L’allarme viene soprattutto dalle regioni più colpite che avrebbero allertato il governo, nell’ipotesi più che concreta di un peggioramento della situazione, proprio a ridosso delle prossime festività natalizie.

Il presidente della Regione Liguria, Giovanni Toti è stato chiarissimo: “Chiederemo al governo come regioni, che le misure restrittive legate alle fasce di colore valgano per le persone che non hanno fatto il vaccino, non per le persone che lo hanno correttamente fatto. Se qualcuno deve essere convinto sono coloro che non si sono vaccinati – continua Toti – le misure che devono essere prese, lo devono essere solo per i non vaccinati, non certo per chi ha fatto fino in fondo il proprio dovere”. E aggiunge: “Chi si è vaccinato, proteggendo sé stesso e la sua famiglia, ha diritto di vivere una vita normale. Chi no, con il tampone potrà solo accedere ad attività essenziali alla sopravvivenza: potrà lavorare, fare acquisti indispensabili, ma non frequentare luoghi dove mette a rischio la propria salute e quella altrui”.

A questa presa di posizione si è aggiunta anche quella del governatore del Friuli Venezia Giulia, che non esclude l’idea: “Nel caso in cui dovessimo andare verso una zona arancione, e da quella in su, penso che il prezzo delle chiusure non lo possano pagare i vaccinati, che hanno difeso se stessi e gli altri, partecipando alla campagna vaccinale”.

Sono invece dubbiosi i presidenti di Emilia Romagna e Lombardia. Stefano Bonaccini dice: “Dovremo discuterne ma credo che la prima cosa da fare sia quella di proseguire con le vaccinazioni”. E Attilio Fontana: “Non nascondo di essere perplesso per il rischio di tensioni sociali”. 

Il no secco, invece, del governatore del Veneto, Luca Zaia, secondo il quale il modello austriaco sarebbe difficile da applicare nel nostro Paese dal punto di vista costituzionale. E anche il leader della Lega, Matteo Salvini è contrario: “Mi rifiuto di pensare al lockdown. Rivedere le regole del green pass visto l’aumento dei contagi? No a nuove chiusure e nuove limitazioni”.

E Giorgia Meloni di Fdi: “Siamo la nazione che ha usato il green pass in modo più energico: mi sarei aspettato che a fronte di quella scelta non si sarebbe parlato di nuove restrizioni. Qualcosa non ha evidentemente funzionato. La campagna di vaccinazione non ferma il contagio: servono altre norme di sicurezza sui mezzi pubblici”.

E’ invece totalmente per il sì, Matteo Renzi: “Stanno aumentando purtroppo i casi, probabilmente qualche Regione andrà in zona gialla, mi piacerebbe che l’Italia adottasse lo stesso metodo dell’Austria:  cioè vanno in lockdown solo quelli che non hanno fatto il vaccino, sennò tutti dovremmo pagare le conseguenze di chi non l’ha fatto. Vorrei che chi ha fatto il vaccino potesse non avere restrizioni”.

Adesso la palla passa al presidente del consiglio Mario Draghi, che oltre a cercare di utilizzare tutti gli strumenti per deviare l’attenzione dal tema che sembra per adesso incombente: quello della ridda di nomi sul prossimo presidente della repubblica, deve fare i conti con i numeri del covid che salgono e la prospettiva, non peregrina, di un lockdown mirato che, ad oggi, non sembra più un tabù ma una concreta possibilità. E la scelta non sarà facile ma sicuramente non è possibile che a pagare sia la maggioranza di italiani responsabili, contro una minoranza, invece, di irresponsabili.

(fonte foto nurse24.it)

Franco Bechis, direttore del Tempo, fa un’analisi a 360 gradi della mossa di Beppe Grillo, che ieri ha di fatto licenziato l’avvocato del popolo ed ex premier, Giuseppe Conte.

“Il colpo di testa di Beppe Grillo non colpisce solo il Movimento 5 stelle e le bimbe forse inconsolabili di Giuseppe Conte. Mette nei guai Enrico Letta e il suo Pd, e può cambiare anche la navigazione di Mario Draghi, agitando non poco le acque nei prossimi mesi. Il segretario del Pd aveva infatti giocato gran parte della sua scommessa sull’alleanza non tanto con i 5 stelle, ma con l’ex premier che pensava li avrebbe guidati. Letta non si è chiesto quale mandato avesse Conte  per chiudere con lui le possibili alleanze elettorali a Napoli e in Calabria (anche a Bologna, ma lì è stato decisivo Massimo Bugani), e ora rischia di trovarsi con un pugno di mosche. Conte non aveva infatti alcun mandato, non essendo nemmeno iscritto al M5s, e con la mossa di Grillo ora anche quegli accordi scricchiolano e non hanno fondamento politico certo. Vero che su Napoli c’è anche la firma di Luigi Di Maio, che però ha seguito Conte pensandolo come il nuovo leader e non ha voluto ostacolarlo davvero. Ma c’è un altro terremoto alle porte, perché liquidando Conte ora Grillo ha messo in moto la procedura per la nomina di un nuovo direttorio come ai vecchi tempi, che è una soluzione certo organizzativa ma non politica. Ed è invece di spazio e azione che ha bisogno il fondatore del movimento per fare digerire a militanti ed eletti questa clamorosa rottura che non andrà giù a gran parte di loro con un semplice alka-seltzer. E lo spazio non c’è finché sono tutti murati all’interno della maggioranza di unità nazionale che accompagna il governo Draghi”.

“Dovessi fare una scommessa oggi – continua Bechis – punterei le mie fiches su un Papeete bis di inizio agosto, questa volta con Grillo a preparare il mojito: per assorbire il contraccolpo di questa rottura e ridare una rotta al suo movimento, è probabile che dopo il divorzio da Conte sia necessario aggiungere quello da Draghi. Una mossa che in un momento sicuramente delicato per il M5s ricompatterebbe le sue varie anime e anche buona parte dei sostenitori, chiudendo la lunga parentesi governista. Ne soffrirebbe sicuramente qualcuno (di sicuro Luigi Di Maio), ma si riaprirebbero le porte per Alessandro Di Battista e per tutti i parlamentari (fra cui Nicola Morra e Barbara Lezzi) che si sono messi fuori non votando la fiducia all’esecutivo Draghi. Non lasciare sola Giorgia Meloni all’opposizione potrebbe dare anche qualche vantaggio nei sondaggi, in attesa delle mosse di Conte, ma soprattutto farebbe riaffiorare le radici anti-sistema del movimento, che nessuno solo qualche tempo fa avrebbe mai immaginato sorreggere un esecutivo guidato da uno con la storia di Draghi. Senza i grillini il governo andrebbe avanti lo stesso – e in ogni caso – la rottura avverrebbe dopo il 3 agosto, durante il semestre bianco che impedisce elezioni. Sulla carta potrebbe contare su almeno 384 voti alla Camera e su 191 al Senato, numeri di cui non hanno potuto godere i governi degli ultimi dieci anni, e quindi la navigazione non sarebbe a rischio. Ma in entrambe le Camere l’azionista di maggioranza sarebbe il centrodestra di governo, che ne avrebbe circa due terzi e quindi sarebbe in grado di imporre a Draghi l’agenda politica”.

Fonte foto (Ansa e Il Fatto Quotidiano)

E’ un quadro che conferma il trend in discesa della Lega, malgrado il partito di Salvini sia ancorato al primo posto ma tallonato dal Pd e da Fdi. Questo ci dice il sondaggio Ipsos di Nando Pagnoncelli, commissionato per il Corriere.it.

I numeri. La Lega con il 20,1% precede il Pd (19,7%) e FdI (19,4%). Il partito di Salvini è stimato in calo di oltre 2 punti rispetto a maggio e tocca il punto più basso dall’inizio della legislatura, ma effettua il controsorpasso sul Pd rispetto al sondaggio di due settimane fa, con buona pace di coloro che avevano gridato allo scandalo. A seguire si collocano il M5S (16,5%) e FI (7,9%). Nelle retrovie le variazioni risultano di pochi decimali e l’area del non voto e dell’indecisione si mantiene al di sopra del 40%. I tre partiti di centrodestra nell’insieme mantengono un consistente vantaggio sul centrosinistra (47,4% a 31,2%) nonché sull’ex maggioranza giallorossa (con l’esclusione di Italia viva) che si attesterebbe al 39,9%.

Gradimento politici. Il primo posto spetta a Giuseppe Conte (indice 49, in calo di 2 punti) che precede Giorgia Meloni (40, in aumento di 3) e Roberto Speranza (stabile a 38). Il progressivo avvicinamento dell’ex premier alla guida del M5S determina l’effetto contrapposto di una flessione del suo apprezzamento personale (dal profilo istituzionale assume quello di capo di una forza politica) e del contemporaneo un aumento del consenso per il M5S. Indubbiamente le tensione tra Grillo e Conte di questi giorni, potrebbero avere riflessi sulla popolarità di entrambi. Giorgia Meloni beneficia della scelta di fare un’opposizione non aggressiva ma dialogante, basti pensare al recente cordiale incontro con il presidente Draghi. Speranza viene apprezzato più in qualità di ministro della Salute che di leader di Art.1.

Nel sondaggio è stato rilevato anche il gradimento dei cosiddetti ministri “politici”, conosciuti da almeno la metà degli italianiFranceschini (indice 32) e Giorgetti (31) risultano i più apprezzati. Infine, le valutazioni sull’esecutivo e il premier che fanno segnare valori ancor più elevati rispetto a quelli registrati all’insediamento, quando solitamente si ottiene il consenso maggiore: oggi l’indice di gradimento dell’operato del governo si attesta a 69 e quello del presidente Draghi sale a 71, entrambi in crescita di 5 rispetto a maggio. Oltre a un clima sociale più positivo, a seguito del procedere della campagna vaccinale e della riapertura della maggior parte delle attività, vale la pena sottolineare due aspetti che determinano la crescita del consenso: il primo riguarda il riconoscimento internazionale dell’autorevolezza del premier che si riverbera sull’immagine del nostro Paese; il secondo fa riferimento allo stile comunicativo del presidente Draghi: è uno stile essenziale, asciutto ma autorevole, molto chiaro e diretto anche su temi che non riguardano direttamente l’attività del governo, come è avvenuto in settimana con l’intervento in Senato sul disegno di legge Zan in risposta a quanto chiesto dal Vaticano.

Romani Prodi, la vecchia volpe della prima Repubblica, che nella vita ha acchiappato quasi tutto, tranne forse il sogno della sua vita: quello di salire sullo scranno più alto del paese ovvero il Quirinale. Parla a ruota libera in un’intervista rilasciata al Corriere.it, dove per prima cosa chiarisce la sua indisponibilità a fare il Presidente della Repubblica.

Tra nove mesi si vota per il Quirinale, con Sergio Mattarella che sembra non guardare ad un secondo mandato. “Se si parla di indisponibilità, ne ha un’altra, la mia. Non ho l’età, come cantava Gigliola Cinquetti: nel senso però che ne ho troppa, quasi 82 anni. E poi sono stato un uomo di parte, e in fondo lo sono ancora. Credo che su Mattarella influiranno la sua volontà e gli eventi. Personalmente lo sento il mio presidente della Repubblica. Mi rende tranquillo e credo che renda tranquilla l’Italia”. 

Un vero e proprio assist a Mattarella, per un bis che però lo stesso presidente della Repubblica ha da sempre escluso. Ma come si dice in politica mai dire mai. Lo stesso Giorgio Napolitano, in “illo tempore”, dichiarò la sua indisponibilità per poi accettare o forse subire la rielezione. E’ anche vero che i tempi erano altri ma oggi, in piena pandemia, certamente per Mattarella sarebbe difficile declinare l’offerta di una seconda chance in nome di un equilibrio che lo stesso Prodi gli riconosce e che all’Italia è indispensabile.

E poi continua lodando il neo segretario del Pd, Enrico Letta.  “Tutti conoscono il rapporto di amicizia e fiducia che ho verso Enrico: lo chiamai a Palazzo Chigi come sottosegretario che era un ragazzo. Ebbene, il ragazzo è cresciuto. In Europa si è rafforzato e accreditato. E io, da spettatore più che da protagonista, per quanto angosciato dal debito che cresce, sono fiducioso: al Quirinale, a Palazzo Chigi e nel Pd ci sono le persone che più stimo. Se l’Italia non vince ora non vincerà mai”.

Poi parla di Salvini che definisce “imbertinottato…”. Sì il leader della Lega afferma Prodi “si è messo nella scia di Bertinotti”. E mette in guardia Mario Draghi dalla “sindrome classica delle coalizioni”. Non ha mai dimenticato l’esperienza di Governo del 1996 quando fu Bertinotti a fare cadere il suo governo e che, oggi, potrebbe vedere proprio Salvini nei panni del segretario di Rifondazione comunista.

Aggiunge poi il Professore: “Fai una scelta drastica, come quella di Bertinotti di coalizzarsi con l’Ulivo. Poi cominci a perdere consensi e la cosa ti fa diventare matto. E allora alzi la posta. Ti impunti anche sul niente, ogni giorno di più. Ma attenzione: questo fa perdere voti, non guadagnarli”. E fa cadere i Governi, “ma Draghi ha molte più riserve. È una grande differenza” spiega Prodi, che già agli albori dell’ascesa dell’ex numero uno della Bce avvertiva che gli italiani spesso “attendono un salvatore per poi crocifiggerlo”. In questo caso Salvini “non crocifigge Draghi solo perché non ha il martello. Ma alza la posta. Fa prevalere il suo interesse di parte”.

Come fece con Giuseppe Conte. Quindi a Mario Draghi consiglia di “fare presto. Ma ha più tempo per vedere e mostrare al Paese i risultati positivi della sua azione, anche se tra pochi giorni, poche ore dovrà presentare il suo piano a Bruxelles. Con Conte si percepiva una tensione montante”. La sfida è la crescita con le riforme per una gestione del debito, che ”è un rischio enorme”.

(fonte foto copertina globalist.it)