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Un sondaggio della “Index Research”, commissionato per la trasmissione “Piazza Pulita” su La7, condotta da Corrado Formigli, dà un quadro in movimento degli equilibri di forza dei partiti, proprio nei giorni in cui Lega e Cinquestelle stanno portando avanti, con fatica, la cosiddetta trattativa sul contratto di governo.

I dati mostrano un aumento di Forza Italia che passa dal 12,2 per cento dello scorso 2 maggio, al 13,5 di oggi (+1,3%); la Lega passa dal 22,9 per cento al 21,8, con una diminuzione dell‘1,1%; Fratelli d’Italia aumenta lievemente il proprio consenso dello 0,3%. Quindi la cosiddetta “riabilitazione” di Berlusconi, sebbene in misura ridotta, ha sicuramente spinto leggermente FI. E facendo due conti, il centrodestra sarebbe ampiamente sopra la soglia del 40 per cento e quindi coalizione vincente, in caso di ritorno alle urne.

Dal versante centrosinistra il Pd, il partito sconfitto alle ultime elezioni nazionali, aumenta quasi dell’uno per cento, passando dal 18,1 al 19%. Ma il dato che balza agli occhi è il crollo di ben tre punti del movimento cinquestelle che passa dal 33,2% del 3 maggio al 30,1 per cento odierno (-3,1%). Numeri sui quali il “partito” di Grillo dovrà fare un’attenta analisi per capire i motivi di questa improvvisa flessione.

E per ultimo il dato riferito al gradimento dell’elettorato su un possibile governo Lega-M5S che, per il 51,5% è negativo contro il 37,1% favorevole, invece, all’eventuale accordo.

Certo sempre di numeri si tratta, ma senza voler fare voli pindarici, il rischio di logoramento, da parte dei due partiti vincitori il 4 marzo, e cioè Lega e M5S, esiste e per evitarlo Salvini e Di Maio devono accelerare e chiudere subito la partita. Altrimenti questi e altri numeri potrebbero essere il loro incubo nei prossimi mesi.

“Io vedo che i due leader in questo momento preparano le cannonate, ma non hanno più alibi. Altro che temi, non si mettono d’accordo su premier e poltrone. Uno convoca i gazebo e l’altro il voto online: magari con l’obiettivo reciproco di bocciarsi a vicenda i propri punti. I militanti leghisti voteranno sì ai punti della Lega e no a quelli dei cinquestelle e viceversa”.

Un Davide Faraone, leader siciliano del Pd e renziano di ferro che, nel corso del programma “Coffee break” su La7, sulla possibilità che Salvini e Di Maio diano vita ad un governo dà una risposta lapidaria: “Vedo questo governo sempre più lontano”.

“Ci avevano spiegato che il problema era prima Berlusconi, poi  il Pd, e infine Mattarella. Ma solo loro due non riescono a trovare un accordo e ci tengono bloccati senza alcuna soluzione”.

“L’Italia è sul punto di installare il governo più non convenzionale e senza esperienza per governare una democrazia occidentale europea dal Trattato fondatore dell’Ue di Roma del 1957. La sua capitale di fatto apre le porte ai moderni barbari dove le proposte economiche del Movimento 5 stelle e della Lega sono una ragione di preoccupazione”. È quanto scrive il prestigioso giornale economico Financial Times.

Il giudizio è davvero impietoso. Di fatto il giornale inglese paragona l’asse Salvini-Di Maio alla discesa di Attila, il re degli Unni che dove passava non cresceva più nulla. “Prima delle elezioni – scrive ancora il Financial Times – “era saggezza comune nelle altre capitali Ue e sui mercati finanziari che un governo Lega-Cinquestelle sarebbe stato il più inquietante di tutti gli esiti possibili”.

 E continua dicendo: “Ora i barbari non stanno solo attraversando le porte di Roma. Sono proprio dentro alle mura della città. E i due partiti godono di un’indiscutibile legittimità democratica e escludere i vincitori delle elezioni dal potere non è un passo per una democrazia matura”. Critico anche nei confronti dei partiti politici, “che devono solo accusare se stessi dopo vent’anni di stagnazione economica”.
Detto questo, continua l’editoriale, il contratto di governo Salvini-Di Maio “dà molte ragioni di preoccupazione” in quanto “i due partiti sono troppo filo russi”, e “la Lega è a favore di deportazioni su larga scala di migranti illegali”.
 
E sul versante economia i dubbi del Financial Times diventano ancora più consistenti: “Reddito di cittadinanza, flat tax e modifica della legge Fornero sulle pensioni sono iniziative che valgono decine di miliardi di euro, ma per le coperture proposte dai due partiti che si vogliono ‘nuovi’, dalla lotta all’evasione fiscale alla vendita di asset pubblici, colpisce quanto vecchie siano la maggior parte di queste idee, già provate in passato, che non sono state parzialmente efficaci”.
 “Un governo formato da queste due forze, potrebbe scontrarsi con le ‘correnti di pensiero fiscali’ di altri governi Ue e della commissione europee. Queste sono aree – conclude l’articolo – dove l’Unione europea può e deve lavorare in modo costruttivo con il prossimo governo italiano, anche se questo significa assecondare la retorica iconoclasta dei pentastellati e della Lega”.
Un’analisi che demolisce l’asse Salvini-Di Maio, parlando di uno scenario “preoccupante” nel caso che la “presa” di Roma diventasse davvero realtà. Un altro pilastro che cade sulla fragile e ancora incerta intesa giallo-verde.

E’ tutto in alto mare, malgrado in molti diano per chiusa la partita del governo. Tra i punti del contratto che trovano la quadra, il vero scoglio è la scelta del premier e su questo sembra che Luigi Di Maio abbia in serbo una trappola. Sul profilo twitter di Jacopo Jacoboni, giornalista esperto di cinquestelle (ha anche scritto un libro inchiesta sul movimento di Grillo), un post che sicuramente non può passare inosservato.

La strategia di Di Maioscrive Jacoboni – è provare fino alla fine a impallinare tutti i nomi di “premier terzo”, e farlo lui, il premier. E con la trattativa in corso, a quel punto spinta troppo in avanti, la Lega non potrebbe tirarsi indietro”. Ci aveva già provato con la Meloni, come vi abbiamo raccontato qui su Bloggando.

Quindi la partita si sta giocando al buio con tatticismi che rischiano di far implodere tutto. E il più gongolante non potrebbe che essere Silvio Berlusconi forte della riacquistata agibilità politica, se vogliamo usare un altro termine alla riabilitazione, che attende l’attimo propizio per ritornare a “dare carte”.

Intanto oggi alle 16.30 Di Maio salirà al Colle e alle 18 sarà il turno di Salvini. A parte i nomi che si fanno: Giulio Sapelli e Giuseppe Conte, entrambi tecnici, il primo in quota Lega, il secondo vicino ai pentastellati, non vi è alcuna certezza che si possa uscire con un nome condiviso. Se si considera. come ha marcato lo stesso Mattarella“il presidente non è un notaio”.

I rumours dicono che il nome c’è, ma potrebbe essere anche un modo per tentare di prendere ancora tempo, anche se per il Colle il tempo è davvero scaduto. Non dimenticando che costituzionalmente premier e ministri devono passare dal benestare del Capo dello Stato. Prerogativa che è l’unico punto fermo di questa “trattativa”.

 

 

Non si arresta l’ascesa della Lega che risulta essere l’unico partito post elezioni ad aver incrementato i propri consensi e compensa il calo dei due partiti della coalizione, quello di Berlusconi e della Meloni. Ma il dato rilevante è il superamento della quota del 40 per cento della coalizione di centrodestra che, se si votasse oggi, risulterebbe vincente. Brutte notizie per il centrosinistra che varrebbe invece la metà. E’ quanto emerge dal sondaggio Tecnè, commissionato per la trasmissione televisiva Matrix.

E come si legge dal grafico, oggi il partito di Salvini raccoglierebbe il 22,6 per cento (17,4% il risultato raggiunto alle ultime politiche. Una percentuale che lo farebbe balzare rispetto al partito democratico, che si troverebbe sotto la soglia del 18 per cento. Primo partito rimarrebbe, secondo la rilevazione, il M5S con il 32 per cento. Mentre Forza Italia scenderebbe al 12,9 per cento (alle politiche di marzo aveva ottenuto il 14 per cento).

E poi c’è anche il gradimento dei leader di coalizione con Di Maio “bocciato” con “4-“, anche se tra gli elettori dei cinquestelle viene apprezzato quanto Salvini. Per il leader del centrodestra, invece, un “8-“.

Infine, come si vede nel grafico che segue, viene analizzata l’opinione degli elettori espressa alle ultime politiche. Pochi sembrano aver cambiato idea. Infatti, il 79 per cento degli italiani, cioè 25,8 milioni di aventi diritto, confermerebbero la scelta fatta nell’urna il 4 marzo. Soltanto il 3 per cento avrebbe deciso di cambiare il proprio voto.

Una situazione, dunque, che presa con le dovute cautele (sempre di sondaggio si tratta), sposterebbe, inequivocabilmente, di più l’asse verso destra e non c’è dubbio che alletterebbe qualcuno che forse, per capitalizzare ancora di più il proprio consenso, sarebbe tentato come a monopoli di tornare al “via”, scegliendo magari la “casella” del voto.

Doveva essere un “cambio merce”, un baratto quello che Luigi Di Maio, candidato premier per i cinquestelle ha di fatto proposto a Giorgia Meloni. E postando un video su twitter la leader di Fratelli d’Italia, ha detto: “Di Maio è venuto a chiedere il sostegno alla premiership M5S in cambio dell’ingresso di FDI nel governo M5S-Lega. Di fronte al mio NO ha detto che avrebbe messo il veto su FDI perché troppo di destra. in quello che tutti già chiamano governo giallo-verde non ci sarà il TRICOLORE!“. Ma arriva la smentita di Di Maio che parla solo di “un incontro nel quale abbiamo parlato di tante cose, ma non ho chiesto alcun sostegno”. E la polemica è bella e servita.

 

E’ un fulmine a ciel sereno, quello caduto oggi nella tanto tormentata “trattativa” per il governo del Paese. Silvio Berlusconi ritorna in pista. Il tribunale di Milano ha cancellato gli effetti della legge Severino, quella sulla incandidabilità, annullando, di fatto, l’efficacia della condanna nell’ambito del processo sui diritti Mediaset nel 2013. Quindi se si dovesse ritornare alle urne Berlusconi potrebbe essere ricandidato alla Camera o al Senato.

Un evento che spariglierebbe la partita già complicata per il parto di un governo a trazione Lega-M5S. A questo punto Mr. B. potrebbe mettere i bastoni tra le ruote del carro giallo-verde, tentando come unwriter” di spruzzare un pò di vernice sul quadro al quale, in questi giorni, si è tentato di dare l’ultimo colpo di pennello.

E la sua frase, “spero non riescano”, poi subito smentita è il piccolo assaggio di ciò che ci aspetta nelle prossime ore. Quindi il match si riapre e Berlusconi inizia a tifare e gufare come direbbe Renzi, affinchè il matrimonio tra Salvini e Di Maio diventi subito divorzio.

Oggi non sappiamo ancora se Luigi di Maio e Matteo Salvini riusciranno a far quadrare il cerchio e a firmare il contratto che porterà alla nascita del prossimo governo. Ma l’esito positivo è più che probabile e avremo il primo governo a sei stelle, le cinque del movimento grillino più quella delle Alpi del simbolo della Lega. E sarà, se sarà, un fatto nuovo per la politica italiana. Certamente, non ratificherà la nascita di una Terza Repubblica, ma segnerà una svolta epocale: al centro di un patto di governo, non ci saranno le affinità ideologiche, le alchimie onomastiche, i richiami a ideali, ascendenze, leadership, ma il riferimento al fare, alle cose. Magari, per gli osservatori stranieri questa non sarà una novità.

Sarà inquietante l’intesa tra forze populiste, euroscettiche, non perfettamente o per nulla allineate rispetto al trend della politica delle capitali che “contano”. Ma a questi analisti di oltre confine, il richiamo alle cose da fare non susciterà particolare interesse. All’estero è normale, è la politica: trovare soluzioni ai problemi del paese, pragmaticamente, senza tante discussioni. Sono le ricette a dividere, non il pedigree. In Italia non è così. C’è ancora chi si affanna a definire il governo nascituro “di destra”, come se significasse ancora qualcosa, in questa epoca di democrazia digitale.

Ideologie, identità, tradizione, partecipazione, partiti, non contano più nulla, non portano più a niente e, soprattutto, non portano più voti. Contano i leader, i programmi, anzi, gli slogan: trovi un argomento forte, particolarmente sentito dalla gente; lo cavalchi, lo fai tuo, ti rendi riconoscibile su quello e vai avanti. Naturalmente, per il bene della collettività, del Paese. Ecco, Di Maio (o chi per lui) e Salvini questo lo hanno capito e, anche grazie alla forza dei numeri, lo stanno facendo fruttare, per far nascere un governo spurio, tra forze che, per loro natura, non hanno granché in comune, se non un certo dna “antisistema” che si declina comunque in modi e direzioni diversissime. Non chiamatelo incucio, no. Chiamatelo governo di contratto o “a sei stelle”.

“L’alleanza di centrodestra non si rompe. Posso semplicemente ripetere quello che vado dicendo da due mesi, lavorerò fino all’ultimo per dare un governo al Paese che risolva i problemi degli italiani. E siccome sono come San Tommaso finchè non tocco non credo. Io non vendo fumo, quindi lasciatemi lavorare. Datemi 24 ore e vi saprò dire qualcosa. Se non ci dovessero essere novità, l’unica strada è il ritorno al voto”. 

Con queste parole il leader della Lega, Matteo Salvini, ha sintetizzato davanti alle telecamere il suo pensiero, dopo aver avuto un incontro con Luigi Di Maio. Da quanto è emerso, l’accordo per il governo sarebbe già fatto.

 

Nubi si addensano dalle parti del centrodestra in previsione dell’ultimo giro di consultazioni di Mattarella, previste per lunedì. Se dovesse esserci esito negativo, il presidente della Repubblica non potrebbe che dare vita ad un governo istituzionale o di scopo che più volte, sia Salvini che Di Maio, hanno considerato il male assoluto. Temono, infatti, che dietro tutto ciò ci siano le manovre di Renzi e Berlusconi per gestire una compagine governativa in accordo con l’Europa.

Tutto l’opposto di Lega e Cinquestelle che non hanno lesinato, anche in questi giorni, posizioni dure contro l’oligarchia di Merkel & co. Lo stesso Grillo ha ripetuto il “mantra” del referendum contro l’euro. Quindi il tempo stringe e questo fine settimana può essere decisivo. E Salvini sta proprio lavorando in queste ore per tentare l’ultima carta con i grillini: scrivere un programma politico a termine sul quale trovare l’intesa.

Operazione, comunque, difficile in considerazione che, come scrive oggi il Corriere della Sera, gli uomini di Salvini hanno paura che Berlusconi, da sempre contrario a elezioni anticipate, possa dire subito sì al cosiddetto governo di “tregua” e che Mattarella abbia già individuato una maggioranza disposta a sostenerlo, recuperando anche i cosiddetti “responsabili” e il gruppo Misto.

Questo, inevitabilmente, farebbe sgretolare il centrodestra. E sembra, sempre sulla base di quanto scrive il Corsera, che qualche leghista abbia già cominciato a chiamare quella del centrodestra “l’alleanza che non c’è” e che sarebbe pronto anche un “governo salvagente“, formato da Lega e Cinquestelle, sempre a scadenza. Il tempo è davvero scaduto. Quindi come dire: “ora o mai più”.