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“Il fatto che al coro della destra italiana si stiano unendo in queste ore nell’insulto al Presidente Mattarella e all’Italia personaggi del calibro di Steve Bannon, Marine Le Pen e Nigel Farage, la dice lunga su cosa stava e stia davvero avvenendo. La destra più violenta, razzista, xenofoba e guerrafondaia si è unita per proseguire il proprio attacco ai sistemi democratici in Europa”.

Parole durissime quelle del sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, nei confronti di quanti stanno attaccando il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, sulla vicenda del contratto di governo giallo-verde, abortito nei giorni scorsi.

“Se non stupisce la posizione della destra leghista, lascia perplessi la facilità con cui anche il Movimento 5 Stelle si sia subito omologato, silenziando quelle voci e quelle storie che nulla hanno a che vedere con chi non nasconde le proprie simpatie fasciste e naziste. La scompostezza e violenza delle posizioni assunte dai rappresentanti dei cinquestelle è augurabile, per i suoi tanti elettori antifascisti e non xenofobi, che siano soltanto l’ennesima conferma di ingenuità e frutto della tardiva comprensione di essere caduti in una trappola”.

“Al di là della ovvia considerazione che il Presidente Mattarella ha agito e sta agendo nel pieno rispetto della nostra Carta Costituzionale, ed in particolare delle proprie prerogative e dell’articolo 92, non si può non sottolineare che egli sta compiendo quanto di più alto è richiesto ad un Presidente della Repubblica: tutelare i valori ed il sistema democratico fondanti della nostra Repubblica, da qualsiasi attacco interno o esterno che sia. Appunto la reazione scomposta e violenta della destra neofascista nazionale ed internazionale dimostra la correttezza dell’operato di Mattarella”.

Dura appena quattro giorni l’incarico che il capo dello Stato ha affidato a Giuseppe Conte per la formazione di un governo M5s-Lega. Oggi pomeriggio il professore ha deciso che era impossibile formare il Governo.

Nel pomeriggio c’erano stati due lunghi colloqui al Colle per i leader di M5S e Lega, Luigi Di Maio e Matteo Salvini, che hanno hanno preceduto l’arrivo del premier incaricato. Di Maio e Salvini hanno visto il presidente Sergio Mattarella per cercare di sbloccare in extremis l’impasse sul governo giallo-verde, e in particolare sulla presenza alla guida del ministero del Tesoro di Paolo Savona.

“Abbiamo dimostrato buon senso, generosità, responsabilità. Abbiamo rinunciato al presidente della Camera, al presidente del Senato, alla presidenza del Consiglio. Abbiamo finito di rinunciare. Quello che dovevamo fare, l’abbiamo fatto”, ha detto Matteo Salvini.

“La scelta di Mattarella è incomprensibile”, ha attaccato Di Maio, “la verità è che non vogliono il M5s al governo, sono molto arrabbiato ma non finisce qui. Avevamo espresso Conte come presidente del consiglio, avevamo una squadra di ministri, eravamo pronti a governare e ci è stato detto no perché il problema è che le agenzie di rating in tutta Europa erano preoccupate per un uomo che andava a fare il ministro dell’Economia. Allora diciamocelo chiaramente che è inutile che andiamo a votare tanto i governi li decidono le agenzie di rating, le lobby finanziare e bancarie, sempre gli stessi”.

Durissima la risposta del Capo dello Stato: “Ho agevolato il tentativo di dar vita a governo, ho atteso i tempi per farlo approvare dalle basi militanti. Io devo firmare i decreti per le nomine dei ministri assumendone la responsabilità istituzionale, in questo caso il presidente della Repubblica svolge un ruolo di garanzia che non ha subito né può subire imposizione. L’incertezza della nostra posizione nell’Euro ha posto in allarme investitori italiani e stranieri che hanno investito in titoli e aziende. L’aumento dello spread aumenta debito e riduce la possibilità di spese in campo sociale. Questo brucia risorse e risparmi delle aziende e prefigura rischi per le famiglie e cittadini italiani”.

Mattarella spiegato che la decisione di non accettare il ministro dell’Economia “non l’ho presa a cuor leggero” aggiunfo che “non può sostenere la proposta di un ministro sostenitore della fuoriuscita dell’Euro. L’incertezza sulla nostra posizione ha posto in allarme investitori e risparmiatori italiani e stranieri che hanno investito nei nostri titoli di Stato e nelle nostre aziende. L’impennata dello spread riduce le risorse dello Stato, occorre fare attenzione al pericolo dell’aumento degli interessi per i mutui e per i finanziamenti alle aziende. È mio dovere essere attento alla tutela dei risparmi degli italiani, in questo modo si riafferma concretamente la sovranità italiana”.

Spiegando che “l’adesione all’euro è una scelta fondamentale, se si vuole discuterne si deve farlo in modo approfondito”. Cosa farà dunque il Presidente? “Sono stato informato di richieste di alcune forze politiche di andare a elezioni ravvicinate. E’ una decisione che mi riservo di prendere dopo aver valutato quanto accadrà in Parlamento”. E il Presidente ha assicurato che nelle prossime ore assumerà “l’iniziativa”. E domani mattina, al Quirinale, il Capo dello Stato ha convocato l’economista Carlo Cottarelli probabilmente per una nuova e clamorosa designazione.

Continua l’attacco concentrico nei confronti di Giuseppe Conte, il premier incaricato, voluto da Lega e Cinquestelle, che si trova in mezzo ad un guado, colpito ripetutamente come in un tiro a bersaglio. Adesso è la prestigiosa testata americana, New York Times, che lo attacca pesantemente.

 “Sconosciuto professore di legge, la cui principale qualifica è la sua disponibilità ad eseguire gli ordini dei leader di Lega e M5S”, si legge nell’articolo del quotidiano statunitense, come riportato oggi da “Il Giornale”, edito dalla famiglia Berlusconi.

E non è altrettanto “tenero” sulla maggioranza formata dai due partiti vincitori delle elezioni, quello di Salvini e di Di Maio: “Non è chiaro quanti danni potrà fare la coalizione ma è un duro colpo ai progetti di rafforzamento dell’integrazione europea portati avanti da Merkel e Macron”.

E continua scrivendo che se “se l’Italia, la quarta economia dell’Ue, inizia a sfidare le regole dell’Unione e chiede di rinegoziare i termini della sua adesione, sarà più difficile tenere gli altri membri in riga”.

Poi arriva una sorta di profezia sul futuro del governo Conte: “È troppo presto perché Bannon e i suoi alleati possano celebrare o i campioni dell’Unione si facciano prendere dal panico. Il fascino dei populisti potrebbe presto svanire se non troveranno soluzioni concrete al risentimento che li ha portati al potere”.  Infine il Nyt lancia un appello a Macron e Merkel perché tengano unita l‘Unione Europea e ben saldi i suoi valori. Insomma dopo i tedeschi, arrivano “lezioni” anche dagli Usa.

Ma nelle ultime ore sembra proprio che sia anche in bilico lo stesso Conte. Una manovra di Salvini per andare alle elezioni, vincere e fare il il premier con la coalizione di centrodestra. Un’opzione che piacerebbe a Berlusconi, che potrebbe ricandidarsi sebbene in una condizione politica ridimensionata, ma lontano dal “pericolo grillino” al governo, soprattutto per le sue aziende. E al “povero” professore di legge che aveva “odorato” il profumo del potere non resterebbe che ritornare a fare l’avvocato. Lui usato come agnello sacrificale e con  gli unici perdenti, se lo scenario sarà questo, che saranno inevitabilmente i cinquestelle.

“Prescindendo dalle specifiche valutazioni tematiche – dice il direttore di Demopolis, Pietro Vento un’ampia maggioranza di cittadini vuol vedere all’opera le due forze politiche uscite vincitrici nel voto del 4 marzo. Infatti, il 61% degli italiani si è dichiarato favorevole alla nascita di un governo Lega-M5S. Contrario, invece, è il 39%”. L’indagine è stata condotta dal 22 al 23, su un campione di 1.500 intervistati.

Quasi un italiano su due, invece, valuta positivamente il contratto sottoscritto nei giorni scorsi dal M5S e dalla Lega per il Governo del Paese. Di parere differente è il 37%, mentre 15 cittadini su 100 non esprimono un’opinione in merito. È uno dei dati che emerge sempre dal sondaggio Demopolis, alla vigilia della formazione del nuovo esecutivo. 

Nelle linee generali, gli italiani sembrano condividere nei contenuti il programma stilato dalle due forze politiche. Con una differenza non irrilevante: Il 35% ritiene il programma del tutto condivisibile ed attuabile. Una percentuale superiore, il 38%, lo apprezza ma lo considera non del tutto realizzabile sul piano economico. Poco più di un intervistato su quattro non lo condivide affatto.

Quindi alla maggioranza degli italiani piace l’idea di un governo Lega-M5S ma, con le dovute cautele, sempre di sondaggio si tratta. E se consideriamo che, allo stato attuale, l’iter relativo all’indicazione dei ministri sta creando in queste ore qualche malumore dalle parti del Quirinale, irritato per i diktat di alcuni esponenti di partito, il finale di partita è ancora lontano.

E’ un fiume in piena Davide Faraone, leader siciliano del partito democratico e braccio destro di Renzi, in  un video postato sulla sua pagina FB che, ritornando sul tema del contratto di governoattacca Lega e M5S. 

“Noi abbiamo fatto tanto per il mezzogiorno e siamo stanchi di forze politiche che, invece, pensano che al sud ci siano accattoni a cui dare l’elemosina. Non mi stupisce affatto che Salvini abbia dimenticato il capitolo sul mezzogiorno, nel contratto di governo. Mi sarei meravigliato del contrario. Lui che ha cantato l’inno al Vesuvio contro i napoletani. Lui che ha tolto la parola nord al simbolo soltanto per rubare qualche voto al sud, ma del sud non se ne mai occupato e non gli interessa di occuparsene”.

E nei due minuti di video parla anche dei cinquestelle che “hanno dimenticato il capitolo del mezzogiorno proprio al sud dove hanno preso tanti voti e raccolto le speranze di tanti ragazzi e ragazze. Il M5S ha un’idea del sud sbagliata, così come del suo sviluppo. Le politiche che propongono sono in assoluta continuità con il passato: assistenzialismo, assistenzialismo, assistenzialismo“.

E siamo certi che se qualche grillino avesse incrociato Faraone, mentre registrava il video, sicuramente l’intonazione sarebbe stata: onestà, onestà, onestà, anche perchè, dobbiamo ammetterlo, la “campagna elettorale” non è mai finita e chissà se mai finirà.

Immagini, ma senza audio, di un video di quasi 2 minuti diffuso dal M5S e pubblicato dal sito dell‘agenzia Ansa, mostrano il vertice alla Camera tra Salvini e Di Maio. Siamo nella sala Siani di Montecitorio, che ha ospitato i lavori sul programma di questi 7 giorni. Come si vede dalla foto, Di Maio in camicia ma con la cravatta, al suo fianco il capo della comunicazione pentastellata, Rocco Casalino, e il braccio destro del leader, Vincenzo Spadafora. Dall’altro lato, sempre in camicia ma senza cravatta, Salvini e il suo vice Giancarlo Giorgetti, gli occhiali appoggiati tra le copie del contratto (quello datato ’16 marzo ore 19′) sparse sul tavolo.

Dovrebbe essere l’ultimo incontro tra ‘il Signor Luigi Di Maio’ e ‘il Signor Matteo Salvini’, come vengono definiti, nella prima pagina del ‘Contratto per il governo del cambiamento’. E poi, forse, la firma.

Tutto, comunque, sembra ancora in alto mare, anche se fonti dei cinquestelle parlano di “chiusura” degli accordi, mentre la Lega smentisce categoricamente la dichiarazione del M5S. Il testo, formato da 39 pagine, ha ancora dei buchi neri. Sono 10 i punti sui quali non c’è accordo. Tra cui il nome del presidente del Consiglio e della squadra di governo. Quindi per adesso niente firma e, soprattutto, niente governo. E la pazienza di Mattarella è messa a dura prova.

(foto Ansa)

 

 

Non si arresta l’ascesa della Lega che risulta essere l’unico partito post elezioni ad aver incrementato i propri consensi e compensa il calo dei due partiti della coalizione, quello di Berlusconi e della Meloni. Ma il dato rilevante è il superamento della quota del 40 per cento della coalizione di centrodestra che, se si votasse oggi, risulterebbe vincente. Brutte notizie per il centrosinistra che varrebbe invece la metà. E’ quanto emerge dal sondaggio Tecnè, commissionato per la trasmissione televisiva Matrix.

E come si legge dal grafico, oggi il partito di Salvini raccoglierebbe il 22,6 per cento (17,4% il risultato raggiunto alle ultime politiche. Una percentuale che lo farebbe balzare rispetto al partito democratico, che si troverebbe sotto la soglia del 18 per cento. Primo partito rimarrebbe, secondo la rilevazione, il M5S con il 32 per cento. Mentre Forza Italia scenderebbe al 12,9 per cento (alle politiche di marzo aveva ottenuto il 14 per cento).

E poi c’è anche il gradimento dei leader di coalizione con Di Maio “bocciato” con “4-“, anche se tra gli elettori dei cinquestelle viene apprezzato quanto Salvini. Per il leader del centrodestra, invece, un “8-“.

Infine, come si vede nel grafico che segue, viene analizzata l’opinione degli elettori espressa alle ultime politiche. Pochi sembrano aver cambiato idea. Infatti, il 79 per cento degli italiani, cioè 25,8 milioni di aventi diritto, confermerebbero la scelta fatta nell’urna il 4 marzo. Soltanto il 3 per cento avrebbe deciso di cambiare il proprio voto.

Una situazione, dunque, che presa con le dovute cautele (sempre di sondaggio si tratta), sposterebbe, inequivocabilmente, di più l’asse verso destra e non c’è dubbio che alletterebbe qualcuno che forse, per capitalizzare ancora di più il proprio consenso, sarebbe tentato come a monopoli di tornare al “via”, scegliendo magari la “casella” del voto.

“C’è un luogo in questo Paese dove si è costruito uno spazio possibile, si chiama Palermo. Nel capoluogo siciliano Movimento Cinque Stelle e Centro Destra (alleati in consiglio comunale!) sono entrambi all’opposizione di una esperienza politica e amministrativa che, malgrado una temporanea fase di appannamento, continua a rappresentare un punto di resistenza e una possibile opzione per la costruzione di un’alternativa di società”.

Inizia così un lungo post che Giusto Catania, capogruppo in consiglio comunale di Sinistracomune ha scritto sul suo blog. Una sequenza di parole che partendo dalla vicenda legata all’accordo Lega-M5s per la formazione del governo, si incastra con quella che lui stesso definisce: “esperienza Palermo come luogo di resistenza”. 

E continua affermando che “Palermo senza ambiguità, non concederà al governo nazionale lo spazio urbano per la costruzione dell’hotspot e che continuerà a mantenere pubblici tutti i servizi locali, malgrado le forti pressioni politiche ed economiche. C’è evidentemente un’ulteriore responsabilità collettiva – chiosa il post – che abbiamo a Palermo: la periferia di un Paese a tinte fosche può diventare il centro di una nuova esperienza politica nazionale. Una responsabilità ascritta, oggi ancora di più, al sindaco e alla sua articolata maggioranza”. 

Sinceramente consiglierei al “compagno” Catania, prima di avventurarsi in voli pindarici di guardare com’è ridotta la città, cercando di non replicare non il solito refrain dell’eredità precedente. Pratica che anche il centrodestra era solito fare. Dopo il 61 a 0, quando conquistarono la città, era una litania continua e non serviva a nulla.

Ciò che serve, invece, è essere realisti riconoscendo che la fase di “appannamento” che lui stesso ha avuto il coraggio intellettuale di ammettere non diventi buio pesto. E questo da ex palermitano non posso accettarlo (intendo il buio pesto).

E’ un fulmine a ciel sereno, quello caduto oggi nella tanto tormentata “trattativa” per il governo del Paese. Silvio Berlusconi ritorna in pista. Il tribunale di Milano ha cancellato gli effetti della legge Severino, quella sulla incandidabilità, annullando, di fatto, l’efficacia della condanna nell’ambito del processo sui diritti Mediaset nel 2013. Quindi se si dovesse ritornare alle urne Berlusconi potrebbe essere ricandidato alla Camera o al Senato.

Un evento che spariglierebbe la partita già complicata per il parto di un governo a trazione Lega-M5S. A questo punto Mr. B. potrebbe mettere i bastoni tra le ruote del carro giallo-verde, tentando come unwriter” di spruzzare un pò di vernice sul quadro al quale, in questi giorni, si è tentato di dare l’ultimo colpo di pennello.

E la sua frase, “spero non riescano”, poi subito smentita è il piccolo assaggio di ciò che ci aspetta nelle prossime ore. Quindi il match si riapre e Berlusconi inizia a tifare e gufare come direbbe Renzi, affinchè il matrimonio tra Salvini e Di Maio diventi subito divorzio.

Questi non sono altro che  dei “Mandrake” della politica. Hanno fatto promesse da far tremare i polsi, voglio vedere come se la caveranno con la flat tax, con la Fornero, con l’immigrazione, con il reddito di cittadinanza e con tutti gli impegni che hanno preso”. Con un post su FB, Davide Faraone, uomo di punta del Pd siciliano e renziano di ferro prende una posizione netta sull’accordo di governo Salvini-Di Maio.

“Il governo che nascerà, sarà un governo lontano anni luce da noi. Si è aperta questa discussione sulla “felicità” del Pd – ricordate la canzone di Albano e Romina? – per la sua scelta di stare all’opposizione che è assurda. Nessuna felicità, chi si candida alle elezioni lo fa per vincere, soprattutto se è stato al governo. Certo, siamo un “partito governo”, ma è cosa assai diversa dall’essere un “partito sempre al governo”. 

E continua la sua analisi critica sul risultato elettorale. “Gli elettori hanno premiato il M5S e la Lega, purtroppo dico io, ma gli elettori questo hanno deciso e quella volontà va rispettata. Perché quando gli italiani ti mandano all’opposizione, devi accettare questo ruolo e svolgerlo con serietà e determinazione. Nel merito ma senza sconti, soprattutto quando pensi che un governo degli irresponsabili possa fare danno all’Italia e agli italiani”.

Intanto dal versante interno della minoranza del partito democratico, interviene Antonio Rubino dei partigianidem: “Mentre Faraone studia mitologia e ara campi, io mi auguro che il 19 maggio il pd imbocchi la strada giusta per tornare ad essere punto di riferimento dei riformisti di questo Paese a cominciare dai tanti elettori che hanno dato fiducia ai grillini e che oggi si ritrovano al governo con Salvini”.

Per quella data, infatti, si svolgerà l’assemblea nazionale del Pd e, con molta probabilità Renzi annuncerà, come ha già fatto a ‘Di martedì’ su La7, la candidatura di Gentiloni a premier, sempre che il governo nascente non serri le fila e chiuda il cerchio, facendo decadere il già improbabile ritorno, a breve, alle urne.