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Franco Bechis, direttore del Tempo, fa un’analisi a 360 gradi della mossa di Beppe Grillo, che ieri ha di fatto licenziato l’avvocato del popolo ed ex premier, Giuseppe Conte.

“Il colpo di testa di Beppe Grillo non colpisce solo il Movimento 5 stelle e le bimbe forse inconsolabili di Giuseppe Conte. Mette nei guai Enrico Letta e il suo Pd, e può cambiare anche la navigazione di Mario Draghi, agitando non poco le acque nei prossimi mesi. Il segretario del Pd aveva infatti giocato gran parte della sua scommessa sull’alleanza non tanto con i 5 stelle, ma con l’ex premier che pensava li avrebbe guidati. Letta non si è chiesto quale mandato avesse Conte  per chiudere con lui le possibili alleanze elettorali a Napoli e in Calabria (anche a Bologna, ma lì è stato decisivo Massimo Bugani), e ora rischia di trovarsi con un pugno di mosche. Conte non aveva infatti alcun mandato, non essendo nemmeno iscritto al M5s, e con la mossa di Grillo ora anche quegli accordi scricchiolano e non hanno fondamento politico certo. Vero che su Napoli c’è anche la firma di Luigi Di Maio, che però ha seguito Conte pensandolo come il nuovo leader e non ha voluto ostacolarlo davvero. Ma c’è un altro terremoto alle porte, perché liquidando Conte ora Grillo ha messo in moto la procedura per la nomina di un nuovo direttorio come ai vecchi tempi, che è una soluzione certo organizzativa ma non politica. Ed è invece di spazio e azione che ha bisogno il fondatore del movimento per fare digerire a militanti ed eletti questa clamorosa rottura che non andrà giù a gran parte di loro con un semplice alka-seltzer. E lo spazio non c’è finché sono tutti murati all’interno della maggioranza di unità nazionale che accompagna il governo Draghi”.

“Dovessi fare una scommessa oggi – continua Bechis – punterei le mie fiches su un Papeete bis di inizio agosto, questa volta con Grillo a preparare il mojito: per assorbire il contraccolpo di questa rottura e ridare una rotta al suo movimento, è probabile che dopo il divorzio da Conte sia necessario aggiungere quello da Draghi. Una mossa che in un momento sicuramente delicato per il M5s ricompatterebbe le sue varie anime e anche buona parte dei sostenitori, chiudendo la lunga parentesi governista. Ne soffrirebbe sicuramente qualcuno (di sicuro Luigi Di Maio), ma si riaprirebbero le porte per Alessandro Di Battista e per tutti i parlamentari (fra cui Nicola Morra e Barbara Lezzi) che si sono messi fuori non votando la fiducia all’esecutivo Draghi. Non lasciare sola Giorgia Meloni all’opposizione potrebbe dare anche qualche vantaggio nei sondaggi, in attesa delle mosse di Conte, ma soprattutto farebbe riaffiorare le radici anti-sistema del movimento, che nessuno solo qualche tempo fa avrebbe mai immaginato sorreggere un esecutivo guidato da uno con la storia di Draghi. Senza i grillini il governo andrebbe avanti lo stesso – e in ogni caso – la rottura avverrebbe dopo il 3 agosto, durante il semestre bianco che impedisce elezioni. Sulla carta potrebbe contare su almeno 384 voti alla Camera e su 191 al Senato, numeri di cui non hanno potuto godere i governi degli ultimi dieci anni, e quindi la navigazione non sarebbe a rischio. Ma in entrambe le Camere l’azionista di maggioranza sarebbe il centrodestra di governo, che ne avrebbe circa due terzi e quindi sarebbe in grado di imporre a Draghi l’agenda politica”.

Fonte foto (Ansa e Il Fatto Quotidiano)

Giovanni Favia, l’ex consigliere regionale emiliano dei cinquestelle, primo ad essere epurato via blog da Beppe Grillo, dice la sua “verità” sulla vicenda della pubblicazione di alcune foto osè, che ha visto coinvolta la deputata grillina Giulia Sarti. Oggi Favia ha aperto quattro ristoranti a Bologna e un tempo era legato alla Sarti da un legame molto profondo. In un’intervista al Corriere.it attacca violentemente il movimento di Grillo definendolo un “covo di vipere” fatto di “gente senza arte nè parte”.


Siete stati fidanzati?
“Tecnicamente non eravamo fidanzati, ma le ho voluto moltissimo bene. La nostra amicizia è iniziata nel 2007, era sempre al mio fianco. Poi io ho rotto con i vertici, mentre altri sono rimasti dentro, spinti dalla voglia di arrivare. Raccontavano la favoletta di voler cambiare il Movimento dall’interno”.

Mentivano?
“Gente senza arte né parte si è ritrovata in Parlamento. Incontri persone famose, hai migliaia di euro in tasca. All’inizio volevano fare un po’ i dissidenti come Pizzarotti. Ma poi quel reality diede loro un senso di esaltazione. Giulia ha tradito i suoi principi, si è messa a frequentare lo star system de’ noantri. È diventata una talebana e le ho tolto il saluto”.

Giovanni Favia, Giulia Sarti, Beppe Grillo

Per i rimborsi?
“No, perché non era più la stessa. Delle disavventure di Giulia non mi va di parlare, ma mi dispiace che sia finita alla gogna e voglio dire quello che so per certo. Il caso delle foto rubate non c’entra nulla con il revenge porn”.

Quegli scatti non sono una vendetta personale?
“No, credo siano una vendetta politica interna al M5S. Lì dentro c’è una cyberguerra. Alla Casaleggio avevano una fobia nei miei confronti e tutti quelli che erano stati vicini a me erano visti con sospetto e subivano uno spionaggio stile Stasi. Non si fidavano di lei, pensavano che avesse dentro il germe della dissidenza. Il suo nemico era Max Bugani, l’unico in Emilia che ha tradito me e Pizzarotti”.

Sospetta di Bugani? Vuole prendersi un’altra querela? 
“Non dico che fu lui ad hackerare mail e foto. Non so chi sia stato, se attivisti o eletti, ma certo la corrente era quella. Il solo fatto che Giulia non mi avesse rinnegato era un problema, perché io ebbi uno scontro fortissimo con Bugani. Questa storia è un inside job, inutile prendersela con i media. Gli autori sono persone legate all’ala fideistica e hanno colpito lei perché era sopravvissuta alle epurazioni e se la sapeva cavare in tv”.

Giulia Sarti

Dopo cosa è successo?
“L’hackeraggio è stata una ritorsione. Per allontanarla dal cerchio magico di Di Maio cercavano la prova che nascondesse qualcosa. La storia del porno è una casualità che gli cade dal cielo. Ma Giulia prese una tale batosta che non osò più alzare le penne”.

L’ex fidanzato Andrea Bogdan Tibusche che ruolo ha?
“Non c’entra niente”.

Come fa a esserne così certo? 
“Anche Giulia si è messa in un casino più grande di lei e non sa come uscirne. Magari ha esagerato in ambizione, ma non merita il momento terribile che sta vivendo”.

Perché Sarti si fece installare le telecamere in casa?
“Se le ha messe per tutelarsi da quel covo di serpi che è il M5S ha fatto più che bene. Tutto è ipercontrollato, c’è una psicosi che porta a fotografarsi i messaggi telegram, quelli che poi spariscono. È una macchina di potere”.

Rocco Casalino?
“È un professionista, la persona che ha più forza nel M5S. Ma la comunicazione è organizzata in modo militare. Non era così nemmeno con Berlusconi”.


Un messaggio ad effetto che, il comico Beppe Grillo, inventore insieme a Casaleggio del M5S, sa fare bene, tra sberleffo e offesa finale. Dal suo blog è diventata virale la ricetta, chiamata a 5 stelle, che ha proposto in un video, aprendo una scatoletta di tonno e descrivendo le varie fase di preparazione del piatto: “tonno con schiacciatina”.

E’ fin troppo chiaro il punto di approdo di Grillo, cioè quello di difendere il movimento cinquestelle dagli ultimi attacchi: dall’Unione europea che teme un governo populista e contro l’euro, al il Financial Times che ha parlato dell’asse Salvini- Di Maio come dei moderni barbari. 

Quindi  il riferimento alla scatoletta di tonno non è fatta a caso. Se vi ricordate furono proprio i grillini a dichiarare che avrebbero aperto il Parlamento, appena eletti, proprio come una scatoletta di tonno. E ancora più esplicito quando alla fine della ricetta dice: “Ci avete rotto il cazzo”. Nomi non ne fa, ma quello che si può intendere è il palpabile nervosismo per l’ipotetico governo tra Salvini e Di Maio che stenta a prendere il volo.

I soldi non hanno odore come recitava una famosa citazione latina: “pecunia non olet”. E il potere ne segue sempre la stessa sorte: quando ne senti il vento non ne puoi fare più a meno.

Una brezza che i cinquestelle prima disprezzavano in ogni forma. Erano i giorni dei vaffa, delle dichiarazioni forti. Un movimento che professava, senza se e senza ma, di essere orgogliosamente diverso: fuori dal sistema e contro il sistema. Ma quando sei dentro la politica, nei palazzi e nei meccanismi che governano quel pianeta la catarsi è ad un passo.

Ed è proprio in quel momento che diventi “democristiano”, rievocando quel lessico da politici in doppio petto di un tempo, ed entrando in quella casta che avevi sempre rinnegato.

“Salvini è uno che quando dice una cosa poi la mantiene e questa è una cosa rara”. Non sono parole pronunciate da Berlusconi, che già potrebbero far discutere all’indomani dello scacco leghista in salsa berniniana. Ma da Beppe Grillo che, davanti alle telecamere della Rai, ha lanciato oggi un chiaro messaggio al capo della Lega.

E continuando nel suo istrionismo, da deformazione professionale, parla di Roberto Fico “come persona straordinaria” e di Luigi Di Maio, come uno “statista”. Preludio di un accordo politico per il governo del paese già ratificato con Salvini e con il benestare di Casaleggio? Chissà!

Dimenticavo Mattarella! Al Presidente magari farebbe comodo aver levate le castagne dal fuoco, accelerando il processo per la formazione del governo. Ma ciò che sarebbe interessante è ascoltare i militanti grillini e quelli leghisti per capire se questo “matrimonio s’ha da fare”. Tanto per sapere se dobbiamo morire “democristiani” o ritornare a sentire i vaffa che tanto ci piacevano e, forse, anche quelli per cui Grillo & co sono imbattibili.

 

 

Il messaggio è più che subliminale. E’ la certezza matematica con la quale Grillo ha deciso di spezzare il cordone ombelicale con la Casaleggio associati. Una decisione che non nasce oggi, ma probabilmente accelerata dalla scomparsa del guru maximo Gianroberto, che assieme a lui aveva dato forma al movimento cinquestelle.

L’ex comico genovese ha studiato bene il percorso, le parole e il contenitore attraverso il quale sganciarsi da ogni impegno “politico” dicendo, sue testuali parole: “voglio iniziare un’avventura straordinaria e di liberazione, fatta di sogni e visioni in cerca di folli e artisti”.

Quindi un nuovo blog nel quale il pianeta grillino sembra essersi perduto ai confini di una galassia troppo lontana da raggiungere.  Parla di e-residence digitale in Estonia dove si possono aprire conti correnti con la criptovaluta. “Voglio farvi vedere quello che c’è nel mondo, il futuro che ci aspetta”. E si scaglia contro i politici italiani che parlano “di pauperismo, di giustizialismo, di abbassare le tasse”.

E’ veloce come uno Shuttle e somiglia molto al comandante Kirk della saga “Star Trek” che, con la nave interstellare Enterprise, andava alla ricerca di nuovi mondi.

Ma dietro questa abile manovra comunicativa si cela una vera e propria via di fuga. Un modo onorevole per darsi, come più volte detto, il solo ruolo di garante che gli permetterà di essere totalmente libero. E’ più facile stare in una posizione platonica, guardando il divenire dall’alto, che continuare a giocare una partita a scacchi divenuta complicatissima. E, proprio a due mesi dalle elezioni politiche, suona molto strana la decisione di Grillo di defilarsi.

Io un’idea l’avrei e forse anche di semplice lettura e analisi. L’ex comico non ha voglia di vincere le elezioni, perchè comunque dovrebbe allearsi inevitabilmente per formare il governo e non potrebbe smentire la sua linea intransigente che fa a pugni con quella, diciamo più accomodante, del candidato premier Di Maio.

In molti, forse, tra i militanti grillini questo non lo hanno capito, ma possono essere giustificati essendo ancora poco avvezzi alle pratiche della politica. Grillo, invece, ne è profondo conoscitore essendo stato anche lui vittima di quel sistema politico-censorio che lo portò fuori dal piccolo schermo.

Alla fine il pensiero di Grillo potrebbe racchiudersi in poche parole: meglio fare l’opposizione con bavagli e proteste, che andare a governare un paese al fallimento. Anche questa, in fondo, è una scelta “politica”, come lo fu per tanti anni l’accordo tacito tra la Democrazia cristiana e il partito comunista. E nessuno si scandalizzò.