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Leoluca Orlando è un animale politico. Riesce sempre a cogliere l’attimo, quel “carpe diem” che gli ha permesso di essere perfettamente puntuale, come un metronomo, quello usato dai musicisti per misurare il tempo della musica, nell’evoluzione degli scenari politici. E’ una spanna sopra gli altri. Nessuno puo’ dimostrare il contrario. Il suo passaggio nel Pd assieme al suo fido Fabio Giambrone è un’opera d’arte che già da qualche tempo era diventata meno leggenda e più realtà. Mancava solo la cornice, ma è bastato brandire il “pericolo del populismo targato cinquestelle e la paura del ritorno del berlusconismo” e il gioco è stato bello e pronto.

Il sindaco della primavera di Palermo, fondatore del movimento politico la Rete, che scardinò il potere della Dc di Lima e Andreotti nel 1985, riuscendo a battere nel 1997 Gianfranco Miccichè, l’allora plenipotenziario di Berlusconi in Sicilia e poi sconfitto nel 2007 dal forzista Diego Cammarata, rivincendo nel 2012 e nel 2017 contro Fabrizio Ferrandelli, ha calato l’asso. Quello che tutti aspettavano.

La sua è una fine strategia di distrazione di massa, con un obiettivo chiaro, quanto semplice: trovare una via di fuga alla sindacatura per candidarsi nel 2019 alle elezioni europee. Troppi i problemi che il Comune di Palermo ha annotati nel suo libro e che difficilmente, passata la “sbornia” per la nomina a “Capitale italiana della cultura”, riuscirà ad affrontare e risolvere. Per non parlare della situazione finanziaria che non naviga in buone acque.

E poi, la dice tutta la dichiarazione in cui ha voluto puntualizzare: Resto convinto che il mio partito si chiama Palermo”. Forse come a tranquillizzare soprattutto consiglieri e assessori che lo sfratto ancora è lontano. Ma sarà veramente così? Di certo Orlando è riuscito a sorprendere anche questa volta, dimostrando che il mazziere è sempre lui e al tavolo verde del Pd la fiche sul numero, sia esso nero o rosso, sa dove metterla.

Adesso la roulette del partito democratico gira. Un partito che dopo aver gettato strali su Orlando, nel periodo in cui si doveva decidere l’alleanza per l’elezione a sindaco senza simboli di partito, adesso plaude all’ingresso nelle sue fila. Quasi come una boccata d’ossigeno per un partito lacerato che ha dovuto, anche questa volta, fare atto di sottomissione al professore. In fondo in politica i numeri sono numeri e Orlando in questo è bravissimo maestro e giocoliere.