di Gaetano Càfici. I tempi cambiano e cambiano anche i luoghi dove la stupidità della violenza si afferma. Panta Rei diceva Eraclito, ricordando a noi il senso di un concetto filosofico, oggi non troppo usuale, in cui tutto è un divenire delle cose che mutano. 

E forse sarebbe anche un bene per l’umanità se fosse così, ma non quando si assiste alla consacrazione di un rito tribale di arcaica memoria che trova, purtroppo, in Facebook (nuovo strumento di socializzazione di massa) la nuova Agorà dove consumare vere azioni da bulli in fasce o da adolescenti che si sentono offesi e privati dell’onore, a rischio della vita.
Dunque, cambiano soltanto gli spazi fisici dove sfogare i proprio istinti o postare le proprie noie, tanto per usare un termine moderno e non, invece, le vecchie abitudini di una società in cui il predominio dei “piccoli forti” si tramuta in teatro del dramma. Ciò è quello che è accaduto a Palermo, città forse in preda ormai ad un virus senza antidoto dove di “delitti giovanili” ne abbiamo piene le cronache. Il palcoscenico dove ha inizio la “recita” è quella porzione di web chiamato Facebook. Una banale conversazione che nei toni si accende sempre più e che vede partecipi due adolescenti palermitani. Nulla di che, se non quando all’improvviso quella cavalleria rusticana virtuale degenera, con conseguente appuntamento reale dei due contendenti per un definitivo chiarimento.
É qui che sì consuma la stupidità della violenza contro l’arte della parola: uno dei due giovani finisce in coma per un’emorragia cerebrale e l’aggressore viene invece fermato e denunciato. Voi direte, ma è sempre accaduto. Potrei concordare con il vostro pensiero senza alcuna reticenza. Ma non è così. Si può combattere per affermare l’onore ferito, ma mai superando il confine.
Io mi ricordo delle mie tante liti con i compagni di scuola per un “soffio” sbagliato delle figurine Panini. Che tempi. Si finiva sempre in abbracci indimenticabili. Avrei voluto portare per un attimo, in un’ideale macchina del tempo, i due ragazzi palermitani. E chissà, forse, questa triste storia sarebbe andata diversamente.
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