di Gaetano Càfici. Le parole di Manfredi Borsellino, figlio di Paolo il magistrato trucidato dalla mafia e fratello di Lucia, ex assessore del governo Crocetta sono dure come le pietre, di quelle che non si potranno dimenticare facilmente. Il luogo dell’esternazione è il simbolo della legalità e la presenza del Capo dello Stato diviene la cornice dove questo sfogo si riempie di significato.
“Non intervengo per mio padre, ma per mia sorella Lucia. Mia sorella non può parlare, non vuole parlare adesso. Io intervengo perché non credevo che la figlia più grande di mio padre, la sua primogenita, la figlia con cui lui viveva in simbiosi, con cui dialogava solo con lo sguardo, dopo 23 anni dalla morte del padre dovesse vivere un calvario simile a quello che lui ha vissuto, nella stessa terra che lo ha elevato, suo malgrado, ad eroe”.
Un cesello di parole incastonate nel silenzio di quell’Aula. Una vera lezione di moralità da un uomo che da commissario della stazione di polizia di Cefalù, si mette in turno per lavorare nel giorno dell’eccidio del padre, come miglior tributo per ricordalo.
Nei giorni scorsi aveva lanciato un monito chiaro nei confronti dell’antimafia di facciata “che sa fare solo passerelle”. “Sono stato educato da mio padre all’etica del lavoro, alla concretezza e al rifiuto delle passerelle”.
Ma nella realtà la questione è molto più complessa di quanto non appaia. E l’intercettazione vera o presunta è soltanto una leva. Lo scontro “fratricida” all’interno del Pd e gli alibi e non alibi, abilmente costruiti, stanno tutti all’interno del vaso di Pandora! Comunque a perdere è sempre la politica e per fortuna a vincere, invece, è lo Stato. Forse un paradosso, ma è così!
Quello Stato che Manfredi Borsellino rappresenta come servitore e non solo per essere figlio di suo padre. Le ultime parole che ho sentito pronunciare da Crocetta riferite a Lucia Borsellino sono l’epilogo, perle di “saggezza” di un uomo sul precipizio: “La sua sofferenza e il suo calvario sono anche i miei”. Come dire che in tutto questo lui è vittima e i carnefici sono altri.
Io mi sarei aspettato per prima cosa le sue scuse a Lucia Borsellino, poi a tutti i siciliani onesti e anche all’estensore del pezzo incriminato, il mio collega Piero Messina (non è una difesa di ufficio) che ha fatto solo il suo mestiere di cronista. E per me ciò ha un valore etico imprescindibile! Poi alla fine scrivere le quattro righe di dimissioni ed abbandonare definitivamente la politica.
Ma chiedere ad un “falso rivoluzionario” di trasformarsi in un grande condottiere è come sperare di inoculare il “virus” della pietà ad un jadista. Quindi, finché l’etica della “seggiola” prevarrà su tutto, la politica sarà sempre destinata a perdere.